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 2024  settembre 14 Sabato calendario

Intervista a Philippine Leroy-Beaulieu

È chic, sottile, simpatica: lo sguardo ride, anche quando parla di cose serie. Philippine Leroy-Beaulieu, italiano perfetto, poliglotta, figlia di Philippe Leroy «che mi ha insegnato la libertà, lo spirito di avventura, l’amore per la vita», a 60 anni ha conquistato la fama planetaria grazie al ruolo della pestifera Sylvie Grateau, la manager che asfalta il prossimo e si gode la vita nella serie Emily in Paris – gli ultimi episodi della quarta stagione sono disponibili su Netflix.Guilty pleasure, la favola contemporanea in cui tutto quello che immagini accade, offre un finale di stagione ambientato a Roma con la protagonista Lily Collins che sfreccia in Vespa, immancabile citazione diVacanze romane. Leroy-Beaulieu sorride ironica quando si parla dello charme delle francesi. A Parigi si sente «più italiana e sempre meno francese, anche perché trovo che si viva male in Francia adesso, la gente è tesa. I francesi – racconta – prendono tutto molto sul serio, non hanno la nostra ironia. Lì mi sono sempre sentita molto italiana e qui più francese… Ma ora sarei anche pronta a trasferirmi a Roma». Tanti film (ruolo bellissimo, la moglie di Giorgio Ambrosoli nell’ Eroe borghesedi Michele Placido), è legata a Roma, dove ha vissuto da piccola col padre.
Sylvie è egocentrica e spregiudicata: perché piace tanto alle ragazze?
«Credo per la sua forza, è anche fragile ma nasconde bene la vulnerabilità. Se ne fotte di tutti, dice quello che pensa, anche a costo di essere sgarbata. Quello mi diverte molto, diciamo la verità, alle più giovani piace anche perché è stro**a.
Forse è più apprezzata nel mondo, che in Francia: le francesi vedono questa boss maleducata che le fa morire dal ridere, ma la trovano un po’ overdressed, poco chic».
Mai tentata di imitarla?
«Sto attenta, so che non è carino.
Sono sempre rispettosa, papà rispettava gli esseri umani ed è un esempio per me, mi ha insegnato la lealtà. Al suo funerale c’erano le persone che aveva aiutato a Napoli e all’Aquila, più soccorritori che gente del cinema. Le persone percepivano la sua umanità».
Sua madre Françoise Laurent faceva la modella, quanto conta l’eleganza?
«Non solo la modella, ha lavorato da Dior per 20 anni. Ha contato, sono cresciuta nella bellezza, ho visto tante signore che somigliavano a Sylvie, donne di potere negli anni 80 e 90, che vivevano con la paura di perderlo. Nascondevano le ferite, levedevo lottare e mi commuoveva».
Come si vive la popolarità a 60 anni?
«Bene. La gente ti ferma per strada ed è sorprendente, sono troppo vecchia per diventare vanitosa e prendermi sul serio. Se mi fossi confrontata con un successo così a 20, 30 anni, sarebbe stato diverso. Conosco il mestiere, mio padre ha vissuto queste cose. Sto cercando di approfittare della popolarità per lavorare in Italia. Ci sono tanti registi bravi, Emanuele Crialese, ad esempio».
Suo padre è stato molto amato: era gelosa di lui?
«No mai. Papà era fascinoso e ironico, mi ha insegnato a essere indipendente. Me la sono sempre cavata, non mi sento vittima di niente, mi faccio la mia vita. Quando c’è un ostacolo non penso mai che sia colpa degli altri, ma che devo farcela da sola. Superare un ostacolo ti dice molte cose su te stesso, e ti gratifica».
Leroy era una forza della natura e non gli piaceva invecchiare. Lei che rapporto ha con l’età?
«Bisogna stare attenti, curare la pelle, mettersi le cremine. La macchina da presa scava senza pietà, ogni ruga diventa un abisso. Anche se a me le rughe piacciono. E poi palestra, palestra, palestra. Ho sempre entusiasmo e energia, non penso all’età, mi capita solo quando mi sento scarica. Papà ha fatto l’ultimo lancio col paracadute a 86 anni».
Che padre è stato?
«L’ho sentito vicino, tutti i figli sono conquistati da un carattere forte.
Certo stava via per lungo tempo, e allora mi portava da Emma Bini, la mamma di Cecile (gli altri figli di Leroy sono Philippe e Michelle, avuti da Silvia Tortora, scomparsa nel 2022,ndr ).Aveva amato Yanez, quando gli chiedevano: “Le dispiace di essere sempre ricordato per il ruolo in Sandokan?”, rispondeva: “Siete pazzi? No”. L’altro personaggio che ha interpretato e lo aveva conquistato era Leonardo da Vinci.
Pregava e gli chiedeva ispirazione».
Sua figlia che fa?
«Ha 33 anni e fa la pittrice, sono fierissima di lei».
Che pensa del #MeToo?
«Che è stato molto importante, ha iniziato un movimento di detox nei rapporti tra uomini e donne. L’uomo abusa del potere – abuso che si può verificare in qualsiasi ambiente, non solo nel cinema. Alla fine il vero problema è la prevaricazione, gli uomini vanno rieducati, abbiamo bisogno di loro, ma devono diventare esseri umani. Sono problemi gravissimi, la cosa che mi dà veramente fastidio è che poi si è passati agli eccessi. Le vere vittime sono vittime, non quelle che si sentono offese per un complimento.
Ci vuole rispetto per chi lo è davvero».
Che tipo di uomo le interessa?
«Sono sensibile alla mascolinità: virilità per me vuol dire avere il coraggio di amare. Un uomo in pace con sé stesso diventa complice, sogniamo tutte uno che apprezzi la differenza tra lui e te, capisca che è una ricchezza e ti ami. Lo so, non si incontra facilmente».