il Giornale, 15 settembre 2024
Altro che mediocrità. Mike Bongiorno resta inimitabile
Se Umberto Eco oggi riscrivesse Fenomenologia di Mike Bongiorno, probabilmente userebbe altri toni o, sconsolato, si sceglierebbe un altro fenomeno. Nel 1961 aveva sfruttato l’allora più famoso conduttore della tv come paradigma della mediocrità: «Mike Bongiorno convince dunque il pubblico con un esempio vivente e trionfante del valore della mediocrità (...). Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello». Quando lo lesse, Mike pianse, poi elaborò l’offesa e Sabina Ciuffini, che era con lui a Rischiatutto, ricorda che il conduttore portava spesso con sé la copia del saggio e la obbligava a leggerlo perché, nel disprezzo snob di quelle righe che insultavano pure tutti i telespettatori, c’era il segreto del suo successo.
Forse Sabina Ciuffini, la prima «valletta parlante» della tv, lo ricorderà anche domani, lunedì mattina 16 settembre, a Palazzo Reale di Milano quando sarà presentata la mostra semplicemente intitolata Mike 1924-2024 e aperta fino al 17 novembre nella quale passo dopo passo, foto dopo foto, si ripercorre la vera fenomenologia di Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, nato a New York un secolo fa, il 26 maggio del 1924, e morto a Montecarlo l’8 settembre del 2009. Oggi, vista la situazione, sarebbe impossibile riassumerlo come la sublimazione della mediocrità perché, dai diciamolo, in tv si vede drammaticamente di peggio e sui social neanche a parlarne.
Ma era disastrosamente sbagliato, quasi ai confini del ridicolo, definire modesto il personaggio (non l’uomo) che parlava un italiano basico ma corretto (ah se oggi tutti i presentatori seguissero le lezioni di dizione di Maria Luisa Boncompagni), lo aveva contribuito a insegnare agli italiani spezzettati in tanti dialetti incomprensibili e lo faceva attraverso il medium più straordinario dell’epoca, quello che, volenti o nolenti, avrebbe globalizzato il pianeta.
Com’era tipico dell’uomo, Mike trasformò l’offesa in un’arma, le dedicò un intero capitolo della propria biografia La versione di Mike e per tutta la vita fu il testimonial dell’antimediocrità, dell’uomo che si era costruito da solo, che era stato partigiano senza poi riscuoterne prebende, che aveva lanciato i quiz pur restando sempre, in fondo, un concorrente.
Dopotutto aveva iniziato come «galoppino» della Stampa a Torino quando ancora si lavorava per farsi un futuro e non il weekend, era finito a San Vittore ammanettato dalla Gestapo, finì in un lager e poi ricominciò tutto da dove era arrivato, cioè da New York. Al ritorno in Italia, al Radiogiornale (scelto da Vittorio Veltroni padre di Walter) faceva telecronache di pugilato, poi recitò in un film, fece alcuni fotoromanzi e, insomma, già era un pelo fuori dalla mediocrità. Nel 1955 con Lascia o raddoppia? porta la tv dentro le case degli italiani ed è persino noioso, forse pure retorico, continuare a ripetere quanto quel passaggio sia stato decisivo. Lo snobismo intellettuale obbliga a pensare che il successo altrui sia sempre merito della fortuna o dell’ignoranza del popolo bue.
In realtà se Mike Bongiorno si trovò al posto giusto nel momento giusto erasoprattutto perché era l’uomo giusto per quel posto in quel momento. Non è difficile, capita sempre quando ci sono fasi nuove e decisive. I quiz di Mike erano una commedia all’italiana, spesso neorealismo puro, e difatti tanti concorrenti
diventarono e restarono famosi proprio perché, come il colto Gianluigi Marianini e la maggiorata Maria Luisa Garoppo detta «la tabaccaia di Casale Monferrato», erano baricentri di quella stessa commedia, spalle decisive di un solista al quale bastava dire «Allegria!» per alzare il sipario ed entrare in un altro mondo.
E poi le gaffe.
L’altro giorno se ne è andato Luca Giurato, che era uno specialista di gaffe ma non al livello di Mike. Mike era diventato subito seriale e soprattutto le aveva trasformate in un brand, visto che non eliminava neanche quelle fatte durante le puntate registrate. E poi ci giocava su anche quando erano inventate dalla vox populi come il celebre «ahi ahi ahi, signora Longari, lei mi è caduta sull’uccello!». In realtà non è mai stata fatta, quella gaffe, forse è una invenzione dell’Altra Domenica di Renzo Arbore ma esiste comunque un filmato (molto successivo) in cui Mike pronuncia quella frase mentre sbugiarda la leggenda e quindi ci ride sopra. Pur essendo quasi feroce con i suoi collaboratori dietro le quinte (come ridendo fece notare Fiorello), Mike in scena era impeccabile, competente, preciso. E poi, parlando di mediocrità, se paragonate a quelle che si sentono in questi anni nei preserali, le domande dei suoi quiz, così tanto popolari nei tinelli e quindi impopolari nei salotti, sembravano test di ammissione a Oxford tanto erano minuziose e appuntite.
Insomma, la vita di Mike Bongiorno è stata davvero un «rischiatutto», una lunga giocata su se stesso e su quell’idea, ora quasi fuori moda, che bisognasse puntare sempre più in alto, o sempre meglio.
Quando al Club 44 di Milano nel 1977 cenò con Silvio Berlusconi, Mike Bongiorno diventò il primo grande personaggio tv a lasciare «il posto fisso» e a ricominciare daccapo. E, occhio, allora mica c’erano Discovery o Netflix. Allora c’era la Rai e il deserto intorno. E chissà ai giorni nostri quanti conduttori tv che hanno già presentato otto Festival di Sanremo, si metterebbero in gioco conducendo su Telemilano un gioco a premi (I sogni nel cassetto) distribuito su di un circuito di emittenti locali. Il secondo Mike, da Telemike alla Ruota della Fortuna, diventa l’apoteosi del primo perché nelle case ci sono anche i figli di chi si riuniva al bar per seguire Lascia o Raddoppia? e perché l’italoamericano Mike (ottenne la definitiva cittadinanza italiana solo nel 2003) era diventato con Corrado, Enzo Tortora e Pippo Baudo uno dei padri della tv, forse il più padre di tutti perché aveva fatto la televisione nei due mondi, la Rai e Mediaset, e li aveva conquistati entrambi senza che nessuno potesse lamentarsi o criticare efficacemente. Se non altro perché criticare Mike significava rafforzarlo. A ogni critica Mike Bongiorno diventava più forte, più simpatico, più intramontabile. Per smontarlo ci voleva una risata, proprio come ha fatto Fiorello con una imitazione da studiare a scuola, prima a Viva Radio2 e poi anche in tv, arrivando a ridere di lui, quindi ad adorarlo sinceramente, anche nel giorno del funerale a Milano, proprio a due passi da dove c’è la mostra Mike 1924-2024. «Hai visto, mi hanno dato il Duomo di Milano... a Baudo non l’avrebbero mica dato eh». L’accento era proprio quello di Mike, il dolore era quello di una nazione