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 2024  settembre 15 Domenica calendario

Mostro di Firenze: l’ultima verità tra Dna, pallottole e nuove prove

Dna, pallottole e riesumazioni: «Sappiamo chi è davvero il Mostro di Firenze». Il segreto sul vero autore di otto duplici omicidi che dal 1968 al 1985 insanguinarono la Toscana a colpi di proiettili Winchester serie H, sparati dalla stessa Beretta calibro 22, è nascosto dietro una serie di carte che nessuno può spulciare, perché la Procura disobbedisce ai gip Angela Fantechi e Silvia Romeo (e il Guardasigilli Carlo Nordio ne è informato). Ci sono due colpi di scena, anzi tre. 
Il primo riguarda la cosiddetta «pista sarda». Sarà riesumata la salma di Francesco Vinci, sospettato (assieme al fratello Salvatore) nel 1982 di essere il Mostro per i loro rapporti con la prima vittima femminile della serie di delitti, Barbara Locci. Vinci (che aveva una pallottola nel torace per un altro diverbio) fu scagionato dai successivi delitti, avvenuti mentre era detenuto e morì 31 anni fa in circostanze misteriose in uno dei suoi tanti viaggi in Italia dalla Francia: la moglie Vitalia Melis è convinta che lui e l’amico Angelo Vargiu, entrambi bruciati dentro nel bagagliaio della Volvo 240 trovata a Garetto di Chianni vicino Pontedera (Pisa) il 7 agosto del 1993, siano stati torturati.
Il secondo riguarda l’omicidio della coppia francese uccisa nel 1985: Irene Kraveichvili è la sorella di Jean-Michel, ucciso agli Scopeti l’8 settembre assieme a Nadine Mauriot. Il legale Vieri Adriani, assieme al superconsulente Paolo Cochi, e a Rosanna De Nuccio (sorella di Carmela, assassinata il 6 giugno 1981 insieme a Giovanni Foggi) da anni danno la caccia al vero colpevole come testimonia il libro Mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio (Runa Editrice). L’esperimento giudiziale fatto dai due luminari dell’entomologia forense Fabiola Giusti e Stefano Vanin, nei giorni scorsi alla piazzola di Scopeti dove i due francesi avevano piazzato la loro tenda, avrebbe anticipato al sabato 7 (o forse al venerdì 6 settembre 1985) la data reale del decesso, smentendo il «compagno di merende» pentito Giovanni Lotti alias Katanga che accusava Pacciani e Mario Vanni anche del presunto taglio nella tenda (sarebbe in realtà uno strappo) e aprendo la strada alla revisione della condanna di quest’ultimo, chiesta dai familiari difesi dagli avvocati Valter Biscotti e Antonio Mazzeo. Una scoperta «vecchia» di nove anni, perché una perizia condotta da Cochi nel 2015 e già trasmessa ai pm ha dato risultati sovrapponibili.
Negli anni scorsi qualcuno ipotizzò che il Mostro fosse Joe Bevilacqua (deceduto) in realtà Zodiac, l’imprendibile e ancora anonimo serial killer che aveva beffato la polizia statunitense, ma non ci sarebbero riscontri. Qualche tempo fa venne fuori una perizia del Ris sul famoso proiettile ritrovato nell’orto di Pacciani era «incompatibile» con la Beretta calibro 22 usata dal mostro di Firenze. Le relazioni balistiche del maggiore Paride Minervini che scagionavano Pacciani per la Procura che non vuole mollare le carte erano «coperte da segreto». Un segreto così inviolabile da essere alle pagine 86-87 di un libro. 
Ma c’è un filo rosso che lega tre prove: la pm Beatrice Giunti sarebbe propensa a riaprire il caso. Ci sono tre Dna identici su altrettante buste (di cui due portate a mano) inviate agli inquirenti con un proiettile serie H nell’ottobre 1985 adaltrettanti magistrati (Paolo Canessa, Pier Luigi Vigna e Francesco Fleury) che indagavano sul mostro. Dentro, un proiettile infilato nel dito di un guanto chirurgico e un foglio scritto a macchina con la frase: Poveri fessi, uno a testa vi basta? C’è un misterioso furto di cinque pistole nel 1965 dall’armeria di Borgo San Lorenzo, proprio nel Mugello. C’è l’identikit di un uomo dai capelli rossicci, alto un metro e ottanta, detto il «Rosso del Mugello», che avrebbe partecipato al furto, identico per fattezze e descrizione a un figuro visto da alcuni testimoni prima degli omicidi di Claudio Stefanacci e Pia Rontini del 1984 e della coppia di francesi. A una testimone il Rosso avrebbe rivelato che il serial killer aveva inviato un pezzo di seno di una delle vittime e una lettera. Un’informazione che al tempo nessuno sapeva ufficialmente. Un Dna sconosciuto compare anche su uno dei proiettili rinvenuti nel 2015 nel cuscino della tenda dei fidanzatini uccisi a Scopeti, senza contare il loro rullino fotografico per cui Adriani è da anni in guerra con Procura e tribunale. 
Ma il dossier più interessante lo scova Cochi, è un fascicolo dei carabinieri di 50 pagine su un furto in un’armeria del Mugello: «Quattro Beretta furono ritrovate, una calibro 22 serie 70 no. A un soggetto vicino alla criminalità organizzata vennero trovati due bossoli Winchester serie H», arma e munizioni uguali a quelle del Mostro. Sulle scene criminis ci sarebbero tracce di colpi sparati anche un’altra pistola, una pistola a tamburo oppure una Beretta serie 48. Per i carabinieri il Rosso era il sospettato numero uno anche per dei precedenti reati sessuali, ma il suo nome fu mai inserito tra i sospettati dalla Sam, la Squadra Anti-Mostro, né saltò mai fuori, esattamente come quei bossoli. Spariti. Un uomo descritto a verbale con fattezze simili da più testi, avvistato vicino ai luoghi dei delitti, «che probabilmente abitava a Firenze-Novoli ed aveva pertinenze in Mugello, Impruneta e Lastra a Signa. Ma soprattutto fu coinvolto nel famoso furto in armeria nel ’65», ha spiegato Cochi recentemente a nocturno.it. È stato sempre lui a scoprire che l’uomo – S.P. classe 1938, oggi deceduto – avrebbe collaborato con un notissimo magistrato, nonostante fosse un condannato per favoreggiamento per il furto di un arma uguale a quella del Mostro mai ritrovata e denunciato per reati sessuali (aggressione e violenza su una minore).
Il Dna sulle tre buste è identico, chi l’ha scoperto dice che è possibile risalire alla sua identità, al colore dei capelli e degli occhi, ma niente. «Visto che la Procura ci negava gli atti, ho cercato e rinvenuto un photo-fit dell’epoca realizzato dai carabinieri su un uomo visto sulla piazzola degli Scopeti qualche giorno prima dell’omicidio dei francesi». Secondo Cochi la sua macchina da scrivere sarebbe quella da cui sono partite le tre lettere ai magistrati. È lui, il «Rosso del Mugello», il vero Mostro di Firenze? È lui l’uomo che cercavano i carabinieri a caccia della Beretta scomparsa? È suo il Dna?