la Repubblica, 15 settembre 2024
Biografia di Silvio Orlando
Paolo Sorrentino ha affidato all’attore il ruolo più bello nel suo film (in anteprima in cinema selezionati dal 19 al 25 settembre e in sala il 24 ottobre con PiperFilm), il professore di antropologia alla Federico II Devoto Marotta, mentore e punto fermo nella vita della giovane protagonista. Abbiamo ripercorso la storia recente della città – il colera e lo scudetto, il terremoto, le contestazioni studentesche, l’alta velocità – attraverso i ricordi e lo sguardo dell’attore: «Nel film di Paolo le anime della città ci sono tutte. Il mio personaggio rappresenta quella più colta ed erudita. Tutti abbiamo conosciuto un professore come lui, io ero iscritto a Sociologia».Qual è stato il suo mentore?«La mia generazione, sbagliando, ha rifiutato i maestri. Uno dei miei maestri principali è stato mio cognato, Paolino, morto da pochissimo. È stato lui che ha portato la politica e l’ironia in famiglia, un umorismo anche un po’ sarcastico a cui mi sono ispirato molto nella mia vita. E poi Nanni (Moretti ndr.), più che per le cose che ho imparato da lui, per l’atteggiamento che ha nei confronti della vita e delle cose del mondo, un approccio rigoroso e allo stesso tempo necessario».Perché ha scelto la facoltà di Sociologia?«Credo di essere uno abbastanza conformista. Scelsi Sociologia perché era la facoltà del momento, che ti dava una chiave di interpretazione del mondo. Poi purtroppo ha formato la maggioranza di quelli che adesso diventano i tagliatori di teste di fabbriche e aziende italiane. Però mi ha dato gli strumenti analitici che mi sono serviti».Il film di Sorrentino ripercorre le tappe più importanti della storia recente della città. Lei come li ha vissuti?«Li ricordo tutti. I primi anni 70 sono stati un momento bellissimo con la formazione delle prime giunte di sinistra. La città improvvisamente cominciava a vivere di musica e di concerti, tutte le sere, ovunque andavi. Poi nel 1980 c’è stato il terremoto ed è stato il momento più negativo per Napoli. Mentre il mondo ha cominciato a correre, improvvisamente la città è diventata di metallo, ingabbiata in tubi innocenti che hanno fermato tutto,paralizzato tutto. Il terremoto non solo ha fatto vittime ma ha distrutto quel po’ di tessuto positivo che era stato costruito. Ha fatto sì che la Camorra entrasse nella politica, cambiando il volto e la storia della città».Ha un ricordo personale del terremoto?«Sì, io non mi sono accorto della scossa, penso di essere stato l’unico a Napoli, ero a piazza Medaglie d’Oro. A un certo punto abbiamo visto tanta gente che usciva da un bar. Siccome era un bar dove avvenivano spesso scontri politici ho pensato che ci fosse stato qualche attentato e ho iniziato a correre in direzione opposta. C’è stato un momento di caos totale. Poi mi sono reso conto che era il terremoto, i lampioni ondeggiavano. Dopo quella scossa c’è stato un anno e mezzo di repliche tutti giorni, uno stress impressionante».E veniamo alla contestazione. Da studente scendeva in piazza?«Sempre, tutte le volte che era necessario. Ero abbastanza attivo».Ha preso qualche manganellata?«Dalla polizia no, ma qualche agguato fascista l’ho avuto».Racconti.«Era semplice, ti circondavano in dodici e lì partivano le botte. Dovevi essere bravo a scappare. Io sono scappato subito, non avevo nessuna intenzione di affermare un principio in quel momento, mi sono dato».Quando scendono i ragazzi oggi in piazza in tutta Italia che pensa?«È l’unica possibilità di salvezza, perché sennò tutto si svolge in una sfera privata. E l’essere umano, non so perché, quando sta da solodiventa autodistruttivo. E allora questi ragazzi se non trovano un modo di condividere le cose, i sentimenti, gli ideali, iniziano a farsi del male».E un altro momento del film è quello dello scudetto. Lei era a Napoli?«Io ho perso il primo e il secondo, perché sono andato in cerca di fortuna a Milano. Il terzo l’ho vissuto un po’ di più. Ma proprio il giorno in cui il Napoli ha vinto lo scudetto ero a Ventotene al girare il film di Paolo Virzì,Un altro Ferragosto, e abbiamo cazzeggiato noi nella piazzetta. Poi ho cercato un risarcimento, sono andato allo stadio, ho partecipato al giorno dell’assegnazione, lo show finale…un po’ l’ho vissuto».E com’erano i festeggiamenti a Milano?«Strazianti, i napoletani che erano lì si sono riuniti un po’ in piazza del Duomo, hanno fatto due giri alla galleria, avanti e indietro, e poi sono tornati a casa. Poca roba».Altri snodi importanti per Napoli?«La storia di Napoli è fatta di tante docce fredde e tanti momenti. Ecco, l’alta velocità è stata una svolta per la città. Bastava poco, mettere un paio di binari funzionanti e si arriva da Roma in un’ora e un quarto a Napoli. Il treno veloce ha cambiato il volto della città, nel bene e spero non nel male, nel senso che poi il turismo non è un basso prezzo da pagare. Spero che dove non è riuscito il terremoto, dove non sono riusciti i nazisti, dove non è riuscito il colera, non sia proprio il turismo a riuscire a cambiare l’anima della città: il turismo cerca la bellezza e poi la distrugge».Il colera?«C’ero anche lì. E l’ho preso. Ricordiamoci che il colera ha fatto trenta morti, non ha avuto numeri grandissimi. Se ne parla perché è stato utilizzato parecchio per denigrare i napoletani, calcisticamente parlando».Come si è arricchito il suo sentimento per Napoli, dopo il film?«A Napoli devo tutto. Ma la rifuggo, perché spesso è un luogo dove si disperde il proprio talento. Non la si può vivere a mezzo servizio, nei week-end. Forse nell’ultima parte della vita, chissà, mi farò tentare mie radici. Perché le radici sono importanti».