Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  settembre 15 Domenica calendario

La Meloni è troppo forte, non cadrà

Dal momento che la politica, specie quella italiana, non è un romanzo “giallo”, raramente procede attraverso colpi di scena. Preferisce avanzare lentamente, seminando però qui e là qualche indizio di cosa accade. Ne deriva che la colazione a cui Marina Berlusconi ha invitato Mario Draghi a Milano, presente Gianni Letta (ma non il ministro degli Esteri, Tajani), va interpretata soprattutto per quello che sembra. Vale a dire l’incontro tra una figura di primo piano della nostra storia recente e un’imprenditrice dal nome importante desiderosa di rafforzare le sue relazioni. È una notizia: soprattutto perché si discute da molto tempo del ruolo pubblico più incisivo a cui ambiscono Marina Berlusconi e il fratello Pier Silvio. Al tempo stesso Draghi è tornato a far parlare di sé con il corposo rapporto sulla competitività dell’Unione presentato a Bruxelles e destinato a diventare uno dei temi centrali del dibattito autunnale, accompagnando l’avvio della seconda Commissione Von der Leyen. Avvio ancora da decifrare, visto che alcune caselle, tra cui l’italiana che porta al nome di Raffaele Fitto, sono ancora da completare.Secondo aspetto. A breve Draghi è atteso a Palazzo Chigi dal premier Meloni, di cui i giornali descrivono l’irritazione per essere stata anticipata dall’iniziativa berlusconiana. Ma non è questo il punto. Conta di più dare la giusta lettura del risvolto politico di tali incontri.Presentarli come il preludio di una specie di imminente “golpe” anti-Meloni, ossia l’antipasto di un nuovo esecutivo tecnico, significa confondere il pubblico. In primo luogo perché si rischia di offendere il presidente della Repubblica, attribuendogli, sia pure senza citarlo, un ruolo improprio: almeno allo stato dei fatti. Un governo esiste, piaccia o non piaccia, e dispone di una maggioranza parlamentare. Certo, una coalizione può dissolversi quando è corrosa dal logoramento. Ma è ovvio che le dimissioni della Meloni richiedono l’abbandono esplicito di una delle tre forze del patto che regge l’esecutivo.Tutti pensano, come è logico, a Forza Italia: a maggior ragione dopo l’apparizione di Draghi nel palazzo Berlusconi. Ma, come si è detto, la politica non è un racconto “giallo”.Infatti anche in precedenza i segnali d’insofferenza della famiglia verso la premier erano alquanto espliciti, a volerli vedere. Come pure l’insoddisfazione verso la gestione attuale del partito.Si tratta dunque di calcoli approssimativi. Sul terreno politico, è evidente che Fratelli d’Italia (insieme alla Lega) è in grado d’impedire qualsiasi altra maggioranza in questa legislatura.Inoltre, se messa alle strette, la presidente del Consiglio è in grado di dar vita al suo “piano B”: creare le condizioni per le elezioni anticipate, attribuendone la responsabilità a chi ha aperto la crisi. Viceversa il colloquio tra la premier e il suo predecessore è utile in due sensi. Al governo “sovranista” serve per trovare uno spazio sulla scena europea. In fondo, il rapporto Draghi punta il dito su ciò che non va nell’Unione con toni che possono piacere ad alcuni dei vecchi critici di Bruxelles, diciamo i meno estremisti.All’estensore del rapporto, infine, serve per tornare a presentarsi sulla scena come l’economista di prestigio a cui tutti prima o poi devono rivolgersi: al fine di ascoltare o fingere di ascoltare la voce della saggezza.