Corriere della Sera, 15 settembre 2024
Jake La Furia si racconta
Rapper in proprio e con i Club Dogo, ex collezionista di Harley e serpenti («avevo un pitone di 6 metri e 100 chili»), nome d’arte da cattivissimo, ma con il cuore di panna (tra i mille tatuaggi, anche un «17» sotto l’occhio, omaggio alla data di nascita dei figli), Francesco Vigorelli («con il nome di battesimo mi chiama solo mia mamma») si è «ispirato» al Jake La Furia di Once Were Warriors (1994).
Perché quel personaggio e quel film?
«Mi colpì perché da giovane pirla qual ero sono sempre stato affascinato dai personaggi negativi come Jake La Furia, ma il film ha anche un risvolto di speranza nel finale, una redemption. Un po’ come è capitato a me».
A scuola come andava?
«Mai stato un grande studente, ho fatto tre volte la prima al liceo artistico e poi ho salutato. Ero così, da ragazzo, un po’ un demente: non mi piaceva l’autorità, il sistema scuola non funzionava con me. Ma sono sempre stato curioso, e questo mi ha salvato, mi ha permesso di non crescere ignorante, ho scelto io cosa studiare».
Genitori ovviamente disperati per le bocciature in serie.
«Chiaro. Disperati per tanto tempo, ma grazie a loro ho sempre respirato musica in casa, la mia fortuna. Tutto quel casino che vivevo poteva diventare una tragedia, ma a un certo punto si è incanalato nell’energia giusta».
Ora ha debuttato come giudice a «X Factor» (per la prima puntata oltre 700 mila spettatori e il 3,6% di share). Come si giudica?
«Cerco di fare il mattatore, mi piace la battuta, anche un po’ pecoreccia, cerco di essere easy ma sincero, schietto. Conviene dire le cose come stanno, senza indorare troppo la pillola, bisogna avvertire i ragazzi se stanno facendo una cavolata oppure no, anche brutalmente se serve».
Manuel Agnelli?
«Sotto la scorza da duro è uno che ama la musica e vuole davvero rendersi utile, dare una mano ai ragazzi per farli diventare artisti».
Paola Iezzi?
«Uno se la immagina molto più superficiale, in realtà ha una grande cultura musicale, in quasi tutti i generi. Stupirà tutti quelli che pensano sia lì a fare la frivola».
Achille Lauro?
«È un grandissimo paraculo, nel senso più affettuoso. Sa come trattare le persone, dice loro quello che vogliono sentirsi dire, nel bene e nel male».
Cosa cerca in chi si presenta a «X Factor»?
«Cerco la sostanza, la forma mi ha rotto le palle. Voglio gente che ha passione, capace di trasmettere un’emozione. Questo è un Paese dove tutti vogliono diventare famosi e basta, senza saper fare niente. Li odio quelli così».
Il rap è spesso accusato per il suo linguaggio molto scorretto.
«Se pensiamo all’ipotetica influenza negativa sui giovani allora bisogna abolire i film d’azione, certa letteratura fantastica, il pulp e un sacco di altre cose. Sono le famiglie – non noi – a dover insegnare certi principi. E poi la nostra musica con i Club Dogo è stata anche cronaca della realtà, e la realtà non è sempre bella».
Una rima, una frase di cui pentirsi?
«Ho scritto talmente tanti pezzi che me li sono dimenticati, sicuramente ho scritto cazzate ma chi se le ricorda. Però bisogna fare i conti con i tempi che cambiano, con la nuova sensibilità delle persone: oggi la metà dei dischi dei Club Dogo non potrebbero essere pubblicati».
Tanto successo, tanti soldi: la spesa più scema?
«Spendo un sacco di soldi in action figure e scemenze simili, tipo statue di Dragon Ball. Spero di potermele permettere ancora per un po’».
«Dopo i 45 anni non farò più rap, mi ci vedi ancora con il cappellino sul palco?». Lo ha detto lei qualche anno fa. Ora ci è arrivato a 45.
«Sono ancora convinto di quella frase». Ride. «Infatti sto preparando la grande uscita». Poi serio: «Continuo a ritenere che il dato anagrafico sia importante per la musica, soprattutto per il rap, perché diventa difficile rapportarti con un pubblico giovane, rischi di non essere più credibile. Io stesso ho un linguaggio non aggiornato a quello nuovo, tipo Anna, ma sono ancora qua e per fortuna sono ancora rilevante in quello che faccio. Quindi tranquilli, i prossimi due dischi saranno rap».
E poi?
Ride ancora: «Magari mi do al country».