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 2024  settembre 15 Domenica calendario

Sull’Ucraina, Joe Biden temporeggia. Il vertice con Starmer alla Casa Bianca si è concluso senza nessuna decisione.

Il primo ministro britannico, Keir Starmer, era, ed è ancora convinto, di poter smuovere Joe Biden «con la forza dell’evidenza»: per arginare la nuova offensiva di Vladimir Putin è necessario autorizzare gli ucraini a usare i missili a lunga gittata per colpire le basi militari in pieno territorio russo. 
Ma il lungo incontro tra i due leader, venerdì 13 settembre a Washington, si è concluso senza alcuna decisione. Un esito, per altro, annunciato da John Kirby, uno dei portavoce della Casa Bianca, prima ancora che Starmer si accomodasse nella sala riunioni, la «blue room». Ciò significa che al momento Biden non vede le condizioni per cambiare l’atteggiamento adottato fin dall’inizio della guerra: graduare l’invio delle armi a Volodymyr Zelensky; evitare l’allargamento del conflitto e, soprattutto, il coinvolgimento diretto dei soldati americani. 
La strategia di Biden sta esasperando Zelensky che ormai ripete ogni giorno: l’Occidente, cioè l’America, temporeggia, mentre i russi distruggono le nostre città. Ma, di converso, le proteste di Zelensky innervosiscono Biden. Il presidente degli Stati Uniti non intende sottovalutare l’avvertimento di Putin: se arrivano quei missili, sarà l’ingresso della Nato in guerra. Mosca, tra l’altro, minaccia nuovamente l’impiego delle cosiddette bombe atomiche «tattiche». Ordigni con un raggio di azione ridotto a pochi chilometri, ma con una potenza devastante. Il premier del Regno Unito sostiene che quello di Putin sia l’ennesimo «bluff». Ma Biden gli avrebbe risposto: come fai a esserne così sicuro? Come puoi prevedere che cosa farebbe Putin, visto che nessuno immaginava che avrebbe mai osato spedire 100 mila soldati a invadere l’Ucraina? Sono domande a cui è oggettivamente difficile rispondere. 
Non basta. Come reagirebbe la maggior parte dell’opinione pubblica americana e mondiale nel caso di un’escalation drammatica, anche se non necessariamente nucleare? Certo, il responsabile numero uno sarebbe Putin. Ma altrettanto sicuramente, in pochi accuserebbero i fautori della linea dura di non aver fatto nulla per prevenire il disastro. In altre parole non sarebbero chiamati in causa Starmer, il presidente francese Emmanuel Macron, i governi della Polonia e dei paesi Baltici. Il conto politico e morale, invece, verrebbe presentato a Biden che non ha alcuna intenzione di correre questo pericolo. 
Tuttavia il presidente Usa deve anche mantenere il fronte occidentale compatto. È possibile, quindi, che si prepari a concedere qualcosa. Gli esperti militari suggeriscono che la Casa Bianca potrebbe avallare solo l’invio a Kiev di missili britannici, gli «Storm Shadows», e francesi, gli «Scalp», senza però autorizzare gli ucraini ad usare gli «Atamcs», made in Usa, già in loro possesso. D’altra parte il Pentagono fa notare che il Cremlino ha già spostato il 90% dei bombardieri fuori dalla portata dei missili occidentali. Come dire: i Paesi occidentali si prenderebbero un rischio politico che non porterebbe i risultati attesi. 
C’è, infine, un altro dubbio che complica le scelte di Biden. Come può Zelensky portare la guerra in Russia e, nello stesso tempo, organizzare una conferenza di pace aperta anche a Putin? Il numero uno di Kiev prospetta la possibilità di uno scambio tra il distretto russo di Kursk, occupato dal suo esercito, e i territori ucraini nelle mani dell’armata putiniana. Un’ipotesi considerata velleitaria dall’Amministrazione Biden. Davvero gli ucraini saranno in grado di mantenere il controllo di Kursk, senza perdere altro terreno nel Donbass? La Casa Bianca, invece, spinge perché Zelensky presenti «un piano di pace» più praticabile: rinuncia ad alcune parti del Paese, per esempio la Crimea, in cambio di garanzie che impediscano altri attacchi russi. 
Biden ha fretta. Le elezioni si avvicinano e occorre dimostrare di avere una via d’uscita credibile e anche migliore rispetto alla capitolazione dell’Ucraina, di fatto prospettata da J. D. Vance, il vice di Donald Trump nella corsa presidenziale.