Corriere della Sera, 15 settembre 2024
La settimana prossima ricomincia Di Martedì
G iovanni Floris, dopodomani ricomincia DiMartedì. Che autunno sarà?
«Nervoso, difficile, scivoloso. Un’ottima occasione per chiarirsi le idee».
In America chi vince secondo lei?
«Politica contro Caos. Spero vinca la prima».
Giorgia Meloni dice: «Stiamo facendo la storia». Esagera? O ha ragione?
«La vera domanda sarebbe: qual è il suo obiettivo? Giorgia Meloni governa per tentare di dare dignità al gruppo di persone con cui ha condiviso valori e percorso politico? O governa per migliorare le cose nel Paese? In tal caso dovrebbe scegliersi un’ottima squadra. E questo apre il secondo interrogativo: Giorgia Meloni sa scegliere le persone?».
Me lo dica lei: com’è la squadra della Meloni?
«Forse deve arrendersi al fatto che non riuscirà a elevare le persone con cui è cresciuta al rango di statisti. La prova di Sangiuliano è solo l’ultima. Prima di lui hanno dato mostra di inadeguatezza La Russa, che da presidente del Senato ha derubricato gli aguzzini delle Ss ad una banda musicale, Lollobrigida, che parlava di sostituzione etnica, la Santanchè, con la sua società accusata di usare la cig covid per pagare gli stipendi. E poi Delmastro, tra pallottole e carte segrete, e ancora il manager che passa da sette dipendenti a tremila perché “pende dalle labbra di Giorgia”. Neanche a parlare delle nuove leve, bruciate dall’inchiesta di Fanpage. La storia della condanna all’antifascismo (ci rendiamo conto?) ha fatto il giro del mondo, come i tentativi di far fare un upgrade al pensiero reazionario attraverso l’appropriazione della Divina Commedia, o attraverso le critiche a Peppa Pig».
Non sarà un po’ troppo moralista, Floris?
«Moralista? No, perché? Non faccio un discorso etico, faccio un discorso pratico. Non sto parlando del mos maiorum degli antichi romani, i valori cui deve ispirarsi il cittadino, l’autorevolezza e la dignità necessarie per ricoprire la carica pubblica. In fondo, non parlo neanche di essere statisti. Parlo dell’essere normali amministratori».
A chi si riferisce?
«Pensiamo a quest’estate, con il ministro dei Trasporti che dichiarava su qualsiasi tema tranne che sul blocco dei treni e delle autostrade che strozzava l’Italia».
Il governo rivendica buoni risultati economici: il nostro Paese cresce più di altri, l’occupazione è al massimo storico.
«Cresciamo nella media Ue. Come la Francia, più della Germania, meno della Spagna. Con un debito enorme sulle spalle. L’occupazione? Una pizzeria che conosco ha esposto per tutta l’estate il cartello “cercasi personale”. Una settimana lo aveva, quella dopo no, quella successiva lo aveva di nuovo. I giovani provavano a lavorare, poi smettevano perché il lavoro era troppo duro rispetto al salario, e loro ne assumevano altri, che a loro volta se ne andavano. Vuol dire che hanno assunto tanti camerieri, o che i salari sono troppo bassi? Che c’è lavoro, o che tanti lavori non ne valgono uno buono? Forse bisogna cambiare ottica quando si parla di occupazione».
Cosa dovrebbe fare il governo allora?
«Dal punto di vista dell’economia il percorso di Giorgia Meloni è ristretto: le compatibilità sono imposte dalla realtà finanziaria, più che dalle scelte dell’Europa. Può far poco. Quel poco che riesce a determinare denuncia l’ottica corporativa; ma in fondo, e purtroppo, è stata votata anche per quello. Il giudizio sul suo governo si dovrebbe basare più sull’immaginario che sul materiale. Come sta cambiando il Paese sul fronte dei valori condivisi, della cultura di base? L’esempio che dà la sua classe dirigente qual è? Gli italiani sono diventati più consapevoli dell’elasticità mentale che impongono le trasformazioni del mondo? Sanno gestire l’inevitabile contatto con le altre culture, con le altre religioni, con gli altri modi di vedere il mondo?».
Ce lo dica lei.
«Secondo me, da questo punto di vista il Paese non sta avanzando».
L’immigrazione serve agli imprenditori, ma genera anche allarme sociale, soprattutto nelle classi popolari.
«Certo. Per questo servirebbe un piano per formare e integrare i nuovi arrivati. Ma Bankitalia ci ha appena spiegato che dovremmo ringraziare gli immigrati che entrano. Ci regalano ricchezza, rendono più giovane un Paese che invecchia. Quest’estate Egonu, Jacobs, Aguero, il brillantissimo Ganeshamoorthy, il fratello giallorosso Furlani e tanti altri ci hanno reso orgogliosi con le loro imprese sportive; ma la destra sembra vivere su un altro pianeta. Per fortuna il Paese va avanti da solo, e nelle scuole si formano splendide classi in cui ragazzi e ragazze si scambiano modi di pensare, di parlare, di mangiare, di credere. Durante il loro governo sono entrati più immigrati che mai; eppure abbiamo sentito parlare di sostituzione etnica, di carichi residuali, di volti che rappresentano o no l’italianità. Mi chiedo anche quanto ancora possano reggere i liberali, o i socialisti, che votano Forza Italia».
A proposito, Marina e Pier Silvio Berlusconi pensano davvero di portare il partito fondato dal padre fuori dalla maggioranza, magari verso il Pd?
«Una cosa è la politica dell’oggi, un’altra quella del dopodomani. Non sarebbe strano se imprenditori di statura internazionale si sentissero stretti nella cultura della destra di Meloni e Salvini».
Nel frattempo ci sarà l’alleanza tra Pd e 5 Stelle?
«L’unità delle opposizioni è un passaggio fondamentale per proporre all’elettorato un’alternativa di governo».
Ornella Vanoni dice che la Schlein non è preparata, altri che parla troppo difficile. Secondo lei?
«È una outsider. Non una underdog, ma una outsider. All’opposizione tutto è più facile; ma dentro al Pd non è facile nulla».
E Renzi?
«Forse dovrebbe risolvere lui il problema. Ha combattuto troppo le persone con cui vuole accordarsi; è naturale che questi scontri siano vischiosi, e non possano essere dimenticati con uno schiocco di dita. Forse dovrebbe togliere il suo nome dalla trattativa, accertarsi che nella coalizione entrino le sue idee, le persone che le rappresentano, e permettere ai suoi elettori di votare centrosinistra».
Lei è molto critico verso il governo, Lilli Gruber lo è altrettanto. È la prova che La7 è la nuova RaiTre, la rete della sinistra italiana?
«Non è una questione politica. Non riesco nemmeno ad immaginare un giornalismo che non abbia spirito critico».
Lei che cosa si ripromette per quest’anno?
«Per quanto ci riguarda la direzione è semplice, quella solita: mettere alla prova le teorie della politica, criticare le tesi più diffuse, vedere se reggono alla prova dei fatti. Lo facciamo da tanto tempo, governi chi governi, e a quanto pare i telespettatori ci danno fiducia. Anche l’editore ci dà fiducia, col direttore di rete si lavora benissimo, faremo del nostro meglio con serietà e rigore».
E i suoi collaboratori? Reggono o fanno come quelli della pizzeria?
«Una nostra autrice dice sempre che lavorare a DiMartedì è come stare in un collegio svizzero. Ma forse è l’unico modo per affrontare tempi come questi».
Ospiterà Maria Rosaria Boccia?
«Probabilmente sulla vicenda c’è ancora da dire, ma penso che ormai l’inchiesta non si possa svolgere solo basandosi sulle sue dichiarazioni».
E Sangiuliano?
«L’ho conosciuto come un bravo collega, colto e gentile. Forse da ministro ha creduto di stare davvero “facendo la storia”».
Come mai la Meloni non viene da lei?
«I primi ministri vengono raramente. In genere quando si sentono in difficoltà, o quando credono di essere imbattibili. Forse lei non è in nessuno di questi due stati d’animo».
Bersani viene come politico o come intrattenitore?
«Fa capire la politica, esprime passione, parla ad amici e avversari. Secondo me gli elettori di destra lo invidiano agli elettori di sinistra».
E con la sua dirimpettaia, ex collega Rai e compatriota sarda Bianca Berlinguer, come va?
«Mi piace la sua nettezza. Forse è proprio la lezione sarda: le parole rovinano il silenzio, vanno scelte con cura».