Corriere della Sera, 15 settembre 2024
A Vibo Valentia gli ospedali saranno presidiati dall’esercito
Non bastavano le aggressioni in Pronto soccorso o nei servizi di Guardia medica. Questa volta è successo persino in un reparto di oncologia, dove ci sono pazienti fragili che da anni convivono con la malattia e dove si immagina che non ci possa essere spazio per intemperanze o violenze nei confronti di chi si prende cura dei malati. E invece all’ospedale «Santo Spirito» di Pescara la morte di un uomo di 60 anni, con una gravissima patologia, ha scatenato un vero e proprio inferno.
Venerdì mattina oltre 40 familiari, tutti Rom, hanno forzato la porta d’ingresso del reparto spaccando vetrate, tavoli, carrelli per le medicazioni. «È diventato un vero campo di battaglia», hanno riferito alcuni sanitari terrorizzati e preoccupati anche di tranquillizzare gli altri pazienti. Ben poco ha potuto fare la guardia giurata all’ingresso che ha allertato le forze dell’ordine. Solo dopo l’arrivo in massa di polizia e carabinieri la situazione è tornata sotto controllo. Gli agenti hanno poi dovuto scortare la salma del paziente appena deceduto fino all’obitorio dell’ospedale.
Qualcosa di mai visto nella pur nutrita sequenza di aggressione a medici e infermieri. All’ospedale di Vibo Valentia da qualche giorno si è visto anche l’esercito. Non si tratta di una vigilanza all’interno dei reparti, come invocato da alcune organizzazioni dei sanitari, ma di un servizio previsto dalla prefettura nell’ambito dell’operazione «Strade sicure». «Abbiamo semplicemente rimodulato il servizio – spiega al Corriere il prefetto Paolo Giovanni Grieco —. In pratica tra i tanti siti da monitorare ci saranno anche le aree esterne all’ospedale. Non è assolutamente un presidio fisso. Né all’interno, né all’esterno». In gergo tecnico viene definito «servizio dinamico». La pattuglia di «Strade sicure», nel proprio giro quotidiano, fa anche un passaggio, di 15/30 minuti, davanti all’ospedale. Chiaramente il prefetto non nasconde che «la decisione ha un valore di deterrenza e alza anche la percezione di sicurezza».
La Calabria è una delle regioni dove si conta il maggior numero di aggressioni in corsia. Ma ormai è un bollettino di guerra quotidiano. Venerdì una dottoressa è stata presa a calci e pugni da un paziente al Pronto soccorso dell’ospedale di Nocera Inferiore (Salerno). A Mondragone (Caserta) un uomo ha malmenato l’autista del 118 e poi ha preso a rompere le vetrate della Guardia medica. Pretendeva che venisse subito visitata la moglie, in preda a un attacco di panico. L’aggressore, un 29enne, è stato denunciato per lesioni, danneggiamenti e violenza a pubblico ufficiale.
A Foggia, dopo tre aggressione in cinque giorni, il direttore sanitario del Policlinico minaccia di «chiudere il Pronto soccorso perché rimarremo senza medici e infermieri». Ma l’emergeza non tocca solo il Sud. All’ospedale di Asti, dopo l’ultima assalto in Pronto soccorso, è stato attivato un servizio di videosorveglianza collegato con le forze dell’ordine.
Sui fatti di Pescara è intervenuto anche il presidente della Federazione degli Ordini dei medici Filippo Anelli. «Chiediamo al Governo una risposta forte per garantire sicurezza e serenità a medici e sanitari. In sua assenza siamo pronti a scendere in piazza». Ma già domani ci saranno le prime proteste. Due manifestazioni sono previste a Napoli e Foggia. Secondo l’Osservatorio sulla sicurezza delle professioni sanitarie «nel 2023 sono stati oltre 16 mila i casi violenza contro il personale». Cinquanta al giorno o anche più, visto che mancano i dati di alcune regioni come la Sicilia. «Occorrono – aggiunge Anelli – norme come l’arresto in flagranza differita e la piena applicazione della procedibilità d’ufficio. Ma anche sistemi di videosorveglianza, controlli agli ingressi con metal detector, presenza di vigilanti e anche postazioni fisse delle forze dell’ordine».