Corriere della Sera, 15 settembre 2024
Il Pd riesce a perdere consensi anche all’opposizione
C’è qualcosa che non funziona. E chi se lo aspettava? Nei sondaggi il Pd va giù di un punto. Che sarà mai? Si dirà che le intenzioni di voto vanno e vengono, e che calibrare il sentimento popolare non è facile, con le elezioni politiche ancora lontane. Anche se invece le Regionali, in Liguria, in Emilia-Romagna e in Umbria, sono ormai a un passo. Vero pure che quando si arriva al dunque le scelte si polarizzano, e quindi qualcosa si guadagna. E poi si fa notare che anche le previsioni a ridosso delle Europee sottovalutavano i dem. Però sembra la lista delle giustificazioni, e il fatto resta: invece di crescere il Pd arranca.
Sarebbe stato lecito aspettarsi il contrario, con tutto quello che è successo. Lo scandalo di Maria Rosaria Boccia, che ha portato alle dimissioni il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, e ha pure lambito Arianna Meloni e Francesco Lollobrigida. Giovanni Toti che patteggia e si appresta a fare 1.500 ore di lavori di pubblica utilità. Antonio Tajani che smonta il cavallo di battaglia della destra e chiede lo ius scholae per i migranti. Marina Berlusconi incontra Mario Draghi. La madre di tutte le battaglie, il premierato, almeno al momento, finisce nel cassetto. Forza Italia che punta a congelare l’Autonomia differenziata se non si trovano prima i soldi per le regioni più disagiate. La Finanziaria alle porte con i conti pubblici che non navigano nell’oro. Una partita non facile con l’Europa sulla nomina di Fitto a commissario. Ma invece alla fine, guarda un po’, il gradimento del governo cresce. La maggioranza pare fare tutto in casa, sia il governo che l’opposizione interna, catturando l’attenzione.
Nel Pd, si racconta, marciano tre convinzioni. Quella del vertice del Nazareno, che pensa che i tempi maturino inesorabilmente, e che alle Politiche ci sarà il cambio alla guida del Paese. Quella di un’area riformista, e non solo, che denuncia una macchina della propaganda parolaia e incapace di costruire le gambe di una coalizione. E un clima diffuso di mugugno silenzioso. Muto soprattutto perché, specialmente dopo il successo alle Europee, cambiare il timoniere è impensabile. E sarà Elly a fare le liste e a scegliere i candidati, con una voglia di ricambio generazionale che fa tremare ai più le vene e i polsi.
Ma l’elenco delle recriminazioni sotto banco è lungo. Il primo riguarda l’estate militante, annunciata e tradita, con la segretaria addirittura scomparsa per un periodo non breve. I sondaggi lo rilevano: nella caduta ha un ruolo significativo l’assenza mediatica. Così come si rimprovera a Schlein di aver gestito male la vicenda di Matteo Renzi. Al Nazareno si glissa e da lì non arriva una parola chiara. Se non far filtrare che il senatore ha capito male, e ha fatto tutto da solo, forzando la mano. Sta di fatto che l’estate è stata tutta sua, di Matteo, accrescendo i problemi con i 5 Stelle, con l’Alleanza Verdi e Sinistra, e pure all’interno del Partito democratico, allarmato per l’effetto elettoralmente repulsivo di Renzi.
Ma, al di fuori del tortellino magico che affianca la segretaria, nel Pd si teme per le fondamenta del campo largo, che appaiono piantate sulla sabbia. C’è un problema di linea politica, si sarebbe detto una volta. Si sottovaluta la tenuta di Giorgia Meloni che, per quanto un po’ appannata, continua a tenere un filo diretto con il Paese. Ma soprattutto le cose che uniscono l’area progressista sembrano pochine. La scuola pubblica, il salario minimo e non tanto di più. Si fibrilla sulla politica estera, dall’Ucraina al Medio Oriente, si vacilla un po’ anche sull’europeismo. Addirittura non si è uniti sulle presidenziali americane, e non è scontato che si stia tutti con Kamala Harris e non piuttosto con Donald Trump.
I più sembrano ottimisti sul fatto che alla fine la grande alleanza si farà. Ma la paura è che somiglierà più all’Unione che all’Ulivo. E quando si vota l’effetto armata Brancaleone non porta mai bene. Qualche critica se la prende pure Stefano Bonaccini, sotto traccia accusato di essere troppo allineato e coperto con la segretaria, anche se lui rivendica, già da un minuto dopo le primarie, la convinzione che il Pd deve marciare unito, e che lui è il presidente di tutto il partito e non un capo corrente.
Adesso c’è la prova delle Regionali, perché gli esami non finiscono mai. Elly Schlein punta a portare a casa un tre a zero, vincendo in Liguria, in Umbria e in Emilia-Romagna. Anche se, soprattutto in Liguria, la partita si complica, con il centrodestra che gioca la carta Marco Bucci e vuole trasformare quel voto in una sfida nazionale. E poi non mancano i maligni, che fanno notare come Giorgia sia cintura nera di preferenze, mentre Elly alle Europee non ha straripato nei consensi personali. Insomma, Elly Schlein ha dimostrato di avere la pelle dura e di non mettersi paura facilmente, e quindi tutti stanno a guardare, per ora. Ma la vicenda è complessa, colma di insidie e di agguati. D’altra parte, si dirà: è il Pd bellezza, e non puoi farci nulla.