Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  settembre 13 Venerdì calendario

Intervista a Federica Pellegrini

«Avere un figlio è un pensiero che è sempre stato lì nella mia testa. Ho una famiglia molto tradizionale, sono cresciuta con l’idea che – prima o poi – avrei avuto un bambino frutto dell’amore della coppia. Non è stato facile trovare con chi metterlo al mondo e questo era un passaggio fondamentale». Sorride con il viso dolce e rilassato di chi ha trovato la sua dimensione Federica Pellegrini. T-shirt, calzoncini corti, scarpe da tennis, capelli appena lavati che ondeggiano sulla fronte: «Sono arrivata di corsa, appena Matteo è rientrato per darmi il cambio con la bambina». Cinque partecipazioni ai Giochi, la prima volta ad Atene nel 2004, un oro e un argento olimpici nei 200 metri stile libero, un numero infinito di record, la Divina – così la conoscevano tutti sui blocchi di partenza – oggi ha 36 anni, è sposata da due anni e ha una figlia.
Dopo tanto cercare è arrivato Matteo Giunta.
«Sì. Ma abbiamo fatto un passo alla volta: prima portato avanti obiettivi personali e lavorativi, quindi ci siamo “messi al lavoro”. E subito ci siamo detti che se un bambino non fosse venuto, non saremmo stati lì a strapparci i capelli perché comunque noi stavamo bene così. È importante trovare una persona con cui trovi un equilibrio, credo molto nella forza della coppia: il nostro cerchio era già chiuso, Matilde è un elemento in più che ha accresciuto il nostro rapporto, non l’obiettivo finale».
Che genitori siete?
«Siamo super complici in tutto, nel lavoro come in famiglia. Abbiamo scelto un percorso di esclusività senza mettere tra noi e Matilde persone estranee. Ci siamo divisi i compiti. Abbiamo avuto anche difficoltà nell’organizzazione, in quei casi i nonni sono stati fondamentali».

Sarà per un periodo a Roma per Ballando con le stelle : come farete?
«Tutta la famiglia verrà con me a Roma; in questo modo potrò vivere a pieno l’esperienza senza rinunciare all’importanza di trascorrere quanto più tempo possibile insieme a Matteo e Matilde».
Perché la scelta di mettersi alla prova su una pista da ballo?
«Le sfide sono parte di me. Anche dopo il ritiro dal nuoto, non smetto di cercare nuove esperienze capaci di stimolarmi, anche oltre la mia zona di comfort. La partecipazione a Ballando è poi un’opportunità per divertirsi, imparare qualcosa di nuovo e mettermi alla prova in un contesto per me insolito. Non sarà una sfida con gli altri, ma con me stessa».
Torniamo ai nonni: abbiamo imparato a conoscerli nelle foto che posta.
«Mentre i genitori di Matteo avevano già vissuto questo status perché suo fratello ha una bimba, per i miei Matilde è la prima nipote: sono impazziti. La aspettavano da anni. Ho provato a sviarli con i cani: prima uno, due, tre, quattro, ma ho dovuto per forza di cose cedere a un umano... A parte gli scherzi, l’amore che provano per la piccola è completamente diverso da quello che posso provare io per mia figlia, è uno stato di grazia. Se possibile, è un amore ancora più grande».
Hanno una serenità che noi, presi dal ruolo di genitori, fatichiamo ad avere.
«Esatto. Sono molto più sereni, sanno come si fa, sono “imparati” e affrontano tutto meglio».
Come ha vissuto la maternità?
«Per una donna indipendente e abituata a fare tremila cose in un giorno, è stata tosta. Poi io sono sempre stata molto magra e vedere il corpo che cominciava a cambiare non è stato facile, anche perché all’inizio desideravamo tenere per noi questa nuova condizione ma io mi vedevo diversa e temevo che tutti capissero il mio stato. Ma quando la pancia si è messa in mostra definitivamente e ormai la notizia era di dominio pubblico, ho capito che quel girovita non più sottile non era poi così male. So che può far sorridere, ma l’unica cosa che non ho mai tollerato e con la quale anche oggi faccio fatica a convivere è l’esplosione di un seno importante. Ho imparato ad accettarlo perché è funzionale alla causa, ma non lo sento mio».
E dopo la nascita di Matilde com’è andata?
«Sulla carta ero pronta a dire: mi metto completamente a disposizione di questa bambina 24 ore al giorno e lascio da parte per qualche mese la mia vita. Ma quando poi sei lì nulla è così scontato. Forse anche perché ho scelto di fare un percorso di allattamento a richiesta che ti coinvolge completamente: i primi 40 giorni faticavo a uscire di casa, avevo mia figlia sempre attaccata. Allora ho capito quanto sono privilegiata ad avere accanto una rete che faceva squadra e mi supportava. Senza Matteo e i nonni, non ce l’avrei fatta».
L’eredità che vorrebbe lasciare a Matilde?
«È nata in modo molto complicato per noi donne. Sono convinta che ci sia in atto una grandissima rivoluzione femminile, ma allo stesso tempo vedo tante storture: i femminicidi, le donne che lavorano sono in netta minoranza rispetto agli uomini, hanno salari più bassi, faticano a fare carriera. Se da un lato ho una grande speranza per lei nel futuro, dall’altro dico sempre a Matteo che dobbiamo proteggerla, farle capire quali possono essere i segnali di pericolo, aiutarla a comprendere quando una relazione non è sana. Abbiamo avuto tutti relazioni sbagliate nella nostra vita però esiste sempre un limite che non va superato e credo che dobbiamo spiegare ai giovani d’oggi qual è questo limite. Vivono tutto in maniera molto ossessiva. Non so se sia frutto del loro essere quotidianamente dentro un mondo virtuale in cui mostrano a chiunque tutto quello che fanno: si sentono giudicati per un like in più o in meno, come se questo definisse quanto valgono. Controllano e hanno la sensazione di essere controllati: e questo crea ossessione».
Anche lei ha avuto relazioni sbagliate?
«Sbagliate magari sì, ma mai tossiche. Prima di trovare l’amore – quello con la A maiuscola – si fanno dei tentativi e non di tutti c’è un buon ricordo. Ho avuto tutte relazioni molto importanti, sono sempre stata una che quando si fidanzava ci credeva veramente, ho avuto storie di tanti anni. Poi cambi, cresci e una relazione che prima era giusta diventa sbagliata».
Che rapporto ha con i social?
«Appartengo forse all’ultima generazione che ha vissuto l’avvento della tecnologia: sono passata dalle lettere scritte a mano ai primi telefoni grandi come una valigia e poi sempre più piccoli. Non sono una “smanettona”. Trovo i social divertenti, ma non essenziali: penso di aver aperto un profilo su Twitter nel 2013, ora uso di più quello Instagram. Sono stati utili per avvicinarmi ai miei fan: non mi vedevano più solo durante la gara in Tv, ma scoprivano se ero incavolata o felice una volta uscita dall’acqua».
Cosa c’è nel futuro di Federica Pellegrini?
«In questi mesi ho rallentato, selezionato le cose che più mi piacciono e sono ripartita da zero scoprendo nuove passioni. Ora la cosa che mi coinvolge di più è l’Accademia aperta con Matteo: un camp di nuoto ad alto livello per bambini e, da quest’anno, con anche una categoria open. Finora si è svolta a Livigno. Per me è fondamentale trasmettere il mio amore per il nuoto ai ragazzini: hanno bisogno di passioni, di stimoli».
Siamo a Verona, in una piscina a lei molto cara.
«È dedicata ad Alberto Castagnetti, una delle persone più importanti della mia vita che ho perso veramente troppo presto. Era un tritacarne. Non che allenarsi con Matteo sia stato più semplice... Sa, mi manca ancora (è l’unico momento in cui perde il sorriso e gli occhi si abbassano, ndr ): ci sono ferite che col tempo non guariscono, è solo che ci pensi meno. Ma quando la testa va lì, ritrova la stessa tristezza del primo giorno. Per me è impossibile non pensare a lui, sono sempre qui: la piscina è davanti a casa, Matteo ci lavora. Alberto mi ha preso in un momento difficile e forse è stato l’unico a credere che io potessi ancora fare qualcosa. Sono stata la prima donna che ha allenato. Mi dicevano: non ci andare da lui, ti ammazza. Ma io volevo puntare in alto, ho retto e i risultati sono arrivati. Lui era capace di trasferirti la passione: pretendeva tanto perché credeva veramente in quello che faceva. E così io ho imparato a pretendere sempre di più da me stessa perché credevo in quello che facevo».
Quanto conta la testa in acqua?
«Tantissimo. In generale nello sport ad alti livelli la testa vale come, se non di più, del corpo. Per questo nella nostra Academy, e credo siamo gli unici in Italia, già per i ragazzi di 7 anni abbiamo nel team una mental coach».
Dopo vent’anni quella di Parigi è stata la prima Olimpiade senza di lei.
«Ma ero sugli spalti».
Dove non tutti l’hanno riconosciuta: è rimasta male per la faccia perplessa di Serena Williams?
«No, mi sono divertita a leggere di questa storia. Non è che tutti debbano sapere chi sono: il mondo dello sport è talmente vasto che non è possibile riconoscersi sempre al volo. Magari ci sarà un’occasione per frequentarsi».
Che Giochi sono stati?
«Finalmente me li sono goduta. Ho sempre visto solo vasche, hotel e mensa olimpica, questa volta c’è scappata anche qualche cena in un ristorante parigino. Quello di cui ho avuto nostalgia è il gruppo. Da quando ho smesso sento la mancanza della condivisione: vivere insieme prima delle gare, la squadra, la compagna di stanza... Il nuoto è uno sport individuale, ma c’è un team fuori dalla corsia ed è fondamentale».
Che dieta seguiva da atleta?
«I nuotatori, soprattutto gli uomini, hanno la fortuna che avendo una richiesta calorica molto alta rispetto ad altri sportivi mangiano quello che gli pare».
L’Olimpiade più emozionante?
«Le prime due. Ad Atene avevo 16 anni, mi sentivo in vacanza, non sapevo bene neanche dov’ero e sono tornata a casa con una medaglia d’argento. Poi a Pechino è arrivato l’oro, il sogno di ogni atleta».
Ha praticato altri sport?
«A sei anni non mi divertivo molto in vasca, ho provato ginnastica artistica ma più che altro per una velleità estetica, mi piacevano i body con le paillettes, mi sentivo una principessa. Sono durata poco».
Le sono sempre piaciute le scarpe con i tacchi altissimi: quante ne ha?
«Tantissime, tutte lì in ordine nell’armadio. Quando passo davanti, piangono e mi chiedono “ti sei dimenticata di noi...”. Ultimamente sono molto concentrata sul lavoro e sulla bambina, per il glamour ho poco tempo. Ma loro so che sono lì e che mi aspettano. Forse non mi vanno ancora tutte bene, in gravidanza il piede si allunga. È vero. Devo trovare il coraggio di provarle».
Si allena ancora?
«No, ma dovrei fare qualcosa almeno per la mia schiena».
Ha dedicato un tatuaggio a Matilde?
«La cicatrice del cesareo vale come tatuaggio?».
Non è stato un parto semplice.
«Per nulla. E non lo sono state nemmeno le settimane successive. Quando c’è un parto così difficile un po’ di strascico psicologico te lo porti dietro e in quei momenti la rete di salvataggio creata dalla famiglia è stata fondamentale».
Sta già pensando a un secondo bimbo?
«No, no. So che ai nonni piacerebbe, ma non si esprimono perché mi vogliono bene. E comunque io e mio fratello abbiamo due anni di differenza e mia mamma mi ha sempre detto di non farli così vicini, è dura con due bambini piccoli entrambi ma con esigenze diverse. Così io ascolto la mamma e aspetto». (sorride divertita)
Ha un legame molto stretto con suo fratello.
«Sono andata via di casa presto, avevo 16 anni: prima litigavamo spesso come credo sia normale tra fratelli, ma non vivendo più insieme qualcosa è cambiato e il rapporto con gli anni è diventato sempre più forte».
È stato difficile lasciare il nido?
«Non lo rifarei, a 16 anni sei troppo fragile. Ora che ripenso a quei momenti con l’occhio da mamma, non so come abbia fatto la mia a trovare la forza per dire vai, è il tuo sogno, seguilo. Ho una mamma tosta».
Chiusa la carriera agonistica può fare un bilancio: più le soddisfazioni o le rinunce?
«Le soddisfazioni. Ne è valsa la pena, di tutto, delle lacrime, dei dolori, degli infortuni, di alcune prime pagine dei giornali» (sorride).
Come si gestiscono le critiche?
«L’esperienza aiuta: non le gestisci, impari a conviverci. All’inizio ti fanno male ma pian piano hanno sempre meno risonanza nella tua testa».
Il primo ricordo in acqua?
«Il vaschino baby della piscina dove ho iniziato con la mia insegnante che mi voleva far mettere la testa sotto e io non ne avevo minimante intenzione. Una cosa che mi è rimasta e che ha caratterizzato la mia nuotata: ho sempre tenuto la testa molto alta rispetto al resto del corpo».
Non metteva la testa sotto per paura?
«All’inizio sì, ma ho lavorato affinché non fosse un limite, ma piuttosto un tratto di unicità e un modo per sentirmi più a mio agio in vasca, semplicemente».
Cosa le fa paura oggi?
«Gli abissi: tuttora se non riesco a vedere il fondo non mi tuffo. Io e il mare ci rispettiamo, ma a debita distanza.
E poi le uniche altre paure sono quelle legate ai tempi che viviamo e a mia figlia Matilde. Vorrei crescesse bene e con sani valori, capace di essere sempre libera e di sapersi difendere ed esprimersi in ogni cosa vorrà fare».
Ha già portato Matilde in piscina?
«Sì, le piace sgambettare. Ma farà ciò che vuole. La parola d’ordine sarà sport, è la nostra lingua in casa, però quale sport lo deciderà lei».