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 2024  settembre 13 Venerdì calendario

Intervista a Tosca

La ribelle. Non lo diresti, con quegli occhi dolci, il volto aggraziato, la voce suadente. Invece Tosca, cantautrice raffinata, è una mente libera. Fuori dalle regole. Che più di tutto ama la musica. E che all’apice della popolarità, vincitrice di Sanremo, mandò tutto all’aria.
Tosca, all’anagrafe Tiziana Tosca Donati: ricordi d’infanzia?
«Sono nata alla Garbatella e lì vivi in mezzo a tutti. Ricordo tanti bambini, anche le sorelle Meloni: Giorgia e Arianna, piccole, in bicicletta. Non voglio fare la retorica della periferia romana, ma era difficile anche sognare. Ho perso tanti amici per droga. Io mi sono salvata perché la vita mi piaceva proprio. E sentivo che il mio progetto di vita era diverso dal solito disegno di essere moglie e mamma».
E alla fine ha vinto la musica.
«Sì, ho fatto un’audizione in un locale, dove andava sempre Renzo Arbore. Ho cantato “La donna cannone” e lui mi disse “mi piaci”. Cominciai a lavorare come vocalist con lui».
Facciamo un salto temporale e arriviamo al 1996, anno in cui lei vince il Festival di Sanremo, con Ron, con il brano «Vorrei incontrarti tra cent’anni».
«Un bellissimo ricordo: cento sbornie tutte insieme. Una vittoria del tutto inaspettata. Ricordo che il lunedì, io e Rosalino arrivammo a Sanremo. Decidemmo di andare al cinema a vedere Babe il maialino. Eravamo gli outsider. Siamo andati a mangiare in un ristorante defilato. Ron è defilato, elegante, dolce, diverso dall’ambiente. E io ero impreparata a tutto il baraccone».
Perché outsider?
«Stavo lavorando a un mio disco d’autore. Ma tutti si aspettavano da me che vincessi. Ho provato grande gioia e me la sono goduta la vittoria, altroché. Ma la gioia è durata pochi mesi, poi basta: non puoi permetterti di cadere e sperimentare. L’anno dopo infatti mi riportarono a Sanremo e scelsero una canzone “festivaliera”. Io volevo portare un brano su una ragazza di strada, ma mi dissero no, “ci vuole una canzone pop”. Una vocina mi diceva di non farlo, ma non ho avuto la forza di dire no. Fu un’esperienza molto dolorosa, mi resi conto che non ero io. Nacque la mia crisi».
Una crisi piuttosto importante.
«Eh sì, se non conquisti un posto al sole (Tosca arrivò decima al Festival del ‘97, ndr) la discografia ti ammazza e ti fa credere che sei fallito. Provai una sensazione terribile, ci sono stata malissimo. E lì ho preso le distanze. Ho rotto il contratto discografico. Sentivo che non era la mia strada, non era quello che volevo».
E la sua strada poi è stata molto variegata, dal musical alla musica sacra. Fino a un progetto con la P maiuscola: nel 2014 fonda «Officina Pasolini», un laboratorio di formazione artistica, finanziato dal Fondo Sociale Europeo. In 10 anni si sono diplomati tanti ragazzi (Niccolò Fabi è il responsabile della Canzone, Simona Banchi del Multimediale e Massimo Venturiello del Teatro) sotto la sua direzione artistica.
«Credo davvero che finora “Officina Pasolini” sia il mio più grande successo. È una “casa” per artisti che rifuggono dalla competizione o comunque dal concetto “mors tua vita mea”. Da noi il senso è: io mi salvo con te, perché scriviamo insieme. Da noi non esiste: cade uno, arriva l’altro. Giochiamo un altro campionato».
Ora ci sono problemi con la sede: spostamenti e chiusura del teatro Eduardo De Filippo. Questioni politiche e burocratiche.
«Devo proteggere questa realtà culturale, è una questione anche di sopravvivenza dei ragazzi che non sanno dove dormire per studiare. È inaudito che venga dismesso un teatro storico. Mi dispiace tantissimo dirlo, ma è stata una miopia della sinistra, io ho tentato in tutti i modi di dire che era sbagliato perdere questa residenza storica. Siamo fermi sulla nostra posizione di non voler retrocedere e di non perdere la nostra sede, speriamo di farcela».
Parliamo d’amore. Massimo Venturiello, grande attore teatrale e non solo, suo compagne storico, suo sodale artistico, da pochissimo suo marito. Racconti.
«Ventun anni fa ci siamo incontrati nell’Opera da tre soldi al Teatro Biondo. Io uscivo da una brutta storia e lui si stava separando. Per un po’ siamo stati colleghi con una grande stima reciproca, tanta voglia di ascoltarci e di conoscerci. Molto disincantati, perché feriti. E ci siamo innamorati piano piano».
Chi se ne è accorto prima?
«Sono stata io: ho cominciato a notare cose che mi facevano stare bene. Avevo 36 anni e fino ad allora avevo scambiato l’amore per il tormento. Invece con Massimo è stata una costruzione di qualcosa di solido. Ma soprattutto eravamo e siamo due entità separate che vogliono stare insieme. Cosa c’è di più bello che scegliersi?».
Avete fatto a lungo i fidanzatini?
«Io stavo a casa mia alla Garbatella, lui a Monteverde. Poi dopo tempo, ho preso un appartamento di fronte a lui e la sera dicevo “buonanotte” e andavo a casa mia. Poi “abbiamo buttato giù il muro” a passi lenti, fino al matrimonio il 20 giugno scorso».
Ora fate vita da sposati, finalmente?
«Sì, ma con le proprie autonomie. Lui va in vacanza con suo figlio, io faccio i miei viaggi».
Avete scelto di non avere figli?
«Non sono rimasta incinta. Quando potevo, rimandavo sempre, poi quando è arrivato il momento che non potevo più aspettare, non sono arrivati. Ma non mi sono mai sentita privata di qualcosa».
Un suo grande amore artistico è stato Gabriella Ferri.
«Faceva uno spettacolo al Bagaglino con Pingitore. Poi ha mollato, non stava bene, e loro cercavano una artista che potesse “sostituirla”. Sapevano del mio amore per la musica romana e Pingitore mi prese per quella stagione. Il mio battesimo avvenne davanti a lei, una personalità forte. Era in prima fila, io avevo 22 anni, ero terrorizzata. Quando ho finito di cantare, lei è salita sul palco e mi ha abbracciato. Da lì c’è stato un rapporto e tanta stima a distanza che non si sono mai interrotti».
E da lì la sua passione per la canzone popolare romana.
«Sì, grazie a Gabriella. Ma se fossi rimasta in quel sistema di mercato, non avrei mai potuto dedicarmi alla musica popolare romana perché ti dicono che è una perdita di tempo».
Lei contesta proprio tanto il sistema.
«Non mi piace che sia tutto considerato un prodotto. Oggi si parla solo di streaming e visualizzazioni. Quando nelle interviste leggo “il mio pezzo per l’estate”, mi viene in mente il bikini... Ma che è? Una collezione di Zara o un disco?”».
Ha 57 anni, una situazione sentimentale stabile, un lavoro appagante: è felice?
«Sono in stato di grazia. Vorrei regalare a tutti i giovani artisti questa libertà, dare a tutti il coraggio di partecipare ad altri campionati. E dire alle ragazze che investire sul corpo è molto pericoloso, si investe su un bene deperibile. Il talento e il fascino, invece, aumenta».