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 2024  settembre 13 Venerdì calendario

L’avanguardia “degenerata”. Tutti gli artisti condannati da Hitler in mostra

Verso l’abisso e oltre: facce smunte, pallori febbricitanti, rughe maestose. Donne nude, indipendenti, libere di provocare ed essere sedotte. Uomini piccoli piccoli, schiacciati dalle fragilità del progresso e dall’ideologia nazista che tuona alle porte della Turingia. La Nuova Oggettività tedesca attraversa gli anni anni Venti del 900 – giusto un secolo fa – abbuffandosi senza distinzione di splendore e miseria mentre corre verso il baratro della Seconda guerra mondiale. Ne rigurgita un mondo spettrale, infiltrato da feticismi messi olio su tela e altra “arte degenerata” che Hitler rimuoverà dalla faccia della terra.
Per riammirare tutto questo bisogna fare un po’ di strada, ma ne vale la pena. Ci ha pensato il Leopold Museum di Vienna a imbastire la prima mostra completa su questa avanguardia perduta. E non dev’essere stato facile. Molti degli artisti sono stati internati e uccisi, oppure esiliati, disseminando le loro opere in musei e collezioni private di tutto il mondo. Altri hanno visto i loro lavori distrutti o confiscati. Eppure tutti, a loro modo, hanno percorso una strada gloriosa, seppur brevissima. Max Beckmann, George Grosz, Heinrich Maria Davringhausen, Karl Hubbuch, Grethe Jürgens, Lotte Laserstein, Felix Nussbaum, Gerta Overbeck sono solo alcuni degli autori delle oltre 150 opere esposte nelle sale del museo di arte moderna viennese fino al 29 settembre.
Un percorso, quello di Splendore e miseria (il titolo della mostra), che conduce lo spettatore dentro alle ferite sanguinanti della Repubblica (bifronte) di Weimar, dilaniata dall’inflazione per la crisi della Ruhr eppur animata da un effimero afflato di libertà intellettuale. La Nuova Oggettività riesce a mettere a nudo l’idillio tradito della piccola borghesia e insieme la depravazione degli angoli più reconditi della psiche umana. Non a caso già nelle prime sale si affacciano I feticisti e i flagellanti maniacali di Rudolf Schlichter (considerato uno dei massimi esponenti dell’ala verista) assieme alle prostitute deformi di Otto Dix. Un mondo sotterraneo scrutato a debita distanza dagli occhi insonni dei contadini delle tele di Erich Wegner: le poche che si sono salvate.
Già dai primi capolavori si respira la rivolta degli ex espressionisti delusi dalle accademie bacchettone del dopoguerra. All’apollinea razionalità del Cubismo e del Futurismo, i nuovi pittori preferiscono la realtà dionisiaca e scabrosa.
Una realtà essenziale, ripulita dall’emozione, ormai troppo simile al moralismo; smacchiata anche dall’insolente geometria descrittiva del panorama artistico mainstream. I soggetti prediletti sono persone ai margini della società (assieme a ballerine e buffoni da circo). La “devianza”, in tutte le sue forme, e la caducità del corpo diventano armi politiche contro il nazionalsocialismo.
Indignarsi per credere. Nel 1929 Christian Schad sfida il Paragrafo 175 del codice penale tedesco con una serie di litografie che rappresentano effusioni omoerotiche tra adolescenti, commettendo due reati in un solo disegno. Ma anche la donna riprende i propri spazi. Accanto a Schad è esposta una copia del primo giornale per lesbiche della storia, Die Freundin, pubblicato fino al 1933, anno in cui Hitler riuscirà a sbarazzarsi del vecchio Hindenburg e ciò che rimane della democrazia. In prima pagina campeggia la foto di una ragazza con pantaloni da uomo e sigaretta in bocca. Nelle seguenti sono annotati gli indirizzi per darsi appuntamento.
Tocca però a Kate Diehn-Bitt dare un volto e un corpo alla donna nuova, auto-ritraendosi con le fattezze di un androgino. Altro smacco bello e buono all’immagine muliebre veicolata dalla propaganda del futuro Führer. L’amica Käthe Kollwitz nel 1924 pubblica poi una serie di litografie con cui sostiene il diritto all’aborto. Segno che il mondo sta cambiando, ma soprattutto che la Nuova Oggettività è riuscita a cogliere l’essenza di una società, quella che arriverà dopo la Seconda guerra mondiale, senza nemmeno averla mai conosciuta. Per intuizione, o forse perché somiglia tragicamente a quella lasciata dalla Prima.