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 2024  settembre 13 Venerdì calendario

Allungare i prestiti Pnrr. La Germania in trincea contro nuovi eurobond

Prima prorogare i Pnrr e poi cercare nuove risorse per affrontare il quinquennio più difficile nella storia dell’Unione europea. Sebbene la nuova Commissione non sia ancora nata, sul tavolo di Ursula von der Leyen ci sono già due dossier imponenti. Che stanno agitando i rapporti tra gli Stati membri e gettano un’ombra sul programma dell’esecutivo Ue. Due questioni tra loro inscindibili: il prolungamento dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza, e l’introduzione di un nuovo Recovery Fund.
Due temi che, appunto, stanno provocando in anticipo una frattura dentro l’Unione, con la solita divisione tra “falchi” e “colombe”. Ma con una certezza ineliminabile: servono soldi per affrontare la stagione delle riforme e rimettere in piedi il Vecchio Continente. Una constatazione che Mario Draghi ha illustrato plasticamente. «Il calcolo dei 700-800 miliardi – ha spiegato ieri nel corso di un evento organizaato dalCorriere della Sera – è stata una cifra raggiunta da due istituzioni indipendenti, Commissione e Bce. Il risparmio privato sarà il principale canale di finanziamento. Gli italiani risparmiano molto, di più degli Stati Uniti». Ma non basterà. L’interrogativo dunque è: come trovare tutti questi soldi?
Per rispondere al quesito è necessario sciogliere un nodo preliminare: tutti i vari Pnrr, a partire da quello italiano decisamente in ritardo, possono essere davvero realizzati entro l’estate del 2026? Si tratta di una domanda cui tutti i tecnici, compresi quelli di Palazzo Berlaymont, rispondono negativamente. Alcuni Stati membri, tra cui il nostro, non raggiungeranno gli obiettivi prefissati nei prossimi venti mesi. La richiesta informale ma insistente di Roma e di altre capitali è proprio quello di prorogarne l’esercizio. Almeno di un anno. Dare più tempo per concretizzare le riforme e quindi non perdere i fondi messi a disposizione. E infine non trasformare la più grande novità europea dalla nascita della moneta unica inun fallimento. Contro questa ipotesi, però, già si sono schierati diversi Stati: a cominciare dalla Germania e dall’Olanda. Del resto, quando venne accettato il varo del Recovery Fund, la tempistica breve è stata una delle clausole che ha fatto cadere il loro veto. Quel tema, però, si sta riaffacciando prepotentemente. Anche solo per una questione di realismo: alcuni “usufruitori” non stanno spendendo tutti i finanziamenti. Ma i “frugali” dicono no per unmotivo molto semplice: temono che la proroga sia la porta che apre a nuove forme di debito pubblico comune. Una eventualità considerata inaccettabile dagli stessi Paesi che proprio nel 2021 hanno fatto mettere nero su bianco che gli eurobond sarebbero stati una eccezione irripetibile.
Il rapporto Draghi ha invece rilanciato la questione. Dove si trovano questi 700-800 miliardi l’anno? Non certo nel Bilancio europeo. «Una parte della grande mole di investimenti necessari affinché l’Europa resti competitiva- ha sottolineato ancora l’ex presidente della Bce – deve essere di investimento pubblico comune, perché sennò in alcuni casi il debito dei singoli Paesi diventa troppo alto ed è un disastro». Il secondo dossier allo studio dei tecnici della Commissione, e ancora lontano da avere una possibilità di approvazione, riguarda allora questo aspetto. L’idea è quella di non restituire a partire dal 2028 i prestiti ottenuti con gli eurobond ma emettere altri titoli comuni che allunghino di fatto la scadenza delle emissioni precedenti. Secondo gli uffici di Palazzo Berlaymont, si potrebbe così evitare che l”imbuto” del ‘28 strozzi le economie continentali e faccia esplodere i debiti nazionali. Emettere altri eurobond per 35 miliardi l’anno sarebbe lo stratagemma per evitare di distogliere risorse da destinare alle riforme: a cominciare dalla Difesa.
Di fatto, però, si tratterebbe di formazione di nuovo debito pubblico comune. Esattamente quello che non vogliono i Paesi del nord: Germania, Olanda, Danimarca, Austria. Il “no” è già stato pronunciato esplicitamente quattro giorni fa. E con la situazione politica tedesca confusa come non mai e ormai già alle prese con la campagna elettorale del prossimo anno, tutto diventa più difficile. E lo sarà anche per la Commissione. Anche se il problema di dove trovare i soldi per salvare l’Europa, drammaticamente resta.