Libero, 11 settembre 2024
Così Hitler rese il lager un set cinematografico
Regista, troupe, musicisti, protagonisti e comparse del film: tutti inviati a Birkenau per essere uccisi. Non servivano più alla propaganda e a un cinico inganno alla Croce Rossa perfettamente riuscito, poiché Theresienstadt ( Terezín in ceco) era l’inferno e l’anticamera della Shoah, non un luogo ameno dove si conduceva una vita normale, esempio della generosità del Terzo Reich nei confronti degli ebrei, visto che Hitler aveva persino regalato loro una città.
Questa “città” era stata mostrata a una delegazione della Croce Rossa internazionale a giugno 1944, poi divenuta scenario di un film concepito nel 1943 ma girato tra agosto e settembre, quindi svuotata a fine settembre con le deportazioni di quanti sotto l’occhio vigile delle SS erano stati costretti a fornire volti e lavoro. Neppure il regista Kurt Gerron era stato risparmiato, come forse gli era stato promesso dal comandante Karl Rahm. Tutto si chiudeva come si era aperto: un viaggio senza ritorno ad Auschwitz.
Era stato Adolf Eichmann a promettere alla Croce Rossa, dietro insistenze del governo danese, a consentire di visitare un lager per verificare le condizioni degli ebrei di quella nazionalità, e il posto era Theresienstadt, la cittadella fortificata che portava il nome dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, a una cinquantina di chilometri da Praga. Il piano nazista prevedeva di abbellire ( Verschönerung) il ghetto e fornire una visione idealizzata della vita quotidiana. La prima cosa che le SS fecero fu eliminare la sovrappopolazione, inviando alla morte 7.500 ebrei, soprattutto anziani, malati e disabili. Poi vennero avviati lavori di risistemazione, restauro, pittura, come per preparare un set cinematografico da mostrare ai visitatori.
IL PRECEDENTE
L’idea non era nuova. Già nel 1942 era stato realizzato un film di propaganda probabilmente scritto da Irena Dadalová, purtroppo perduto, di cui sono stati rinvenuti solo alcuni spezzoni nel 1994. Una delegazione partita da Berlino il 22 giugno 1944 formata dai danesi Eigil Juel Henningsen (a capo del ministero della Salute) e Frants Hvass (direttore generale del ministero degli Esteri), e dal venticinquenne medico svizzero Maurice Rossel della Croce Rossa Internazionale, era giunta l’indomani a Theresienstadt per verificare le condizioni dei 450 ebrei deportati dalla Danimarca.
Trovarono, per usare le parole che oggi risuonano agghiaccianti del rapporto di Rossel, una situazione «agréable» e «satisfaisant», da «città quasi normale». Tutto era pulito e lindo, tutto era funzionale, tutto normale: negozi, scuole, ospedale, banca, caffè, teatro, luoghi di ritrovo, attività culturali. Strade e vie impeccabili, ovunque ebrei in buona salute, ma senza sapere che erano stati scelti quelli che avevano i “caratteri” giusti per rappresentare lo stereotipo nazista del giudeo sottoposti a un regime alimentare e medico adeguato.
NAZI-AUTISTA
Il rappresentante della comunità, Paul Eppstein, girava in auto, ma ovviamente nessuno della delegazione sapeva che il suo autista era un ufficiale delle SS in borghese che vigilava affinché tutto andasse per il meglio. Rossel aveva scattato anche 36 fotografie, e ne aveva allegate 16 alla sua relazione colpevolmente superficiale in cui non c’era nessun rilievo. La giornata si era conclusa con una cena con i vertici delle SS, ben attenti a non consentire un contatto diretto tra i deportati e i delegati.
L’idea successiva fu di girare un film sulla stessa falsariga di quella colossale mistificazione, per amplificarla su scala mondiale. Tutto venne portato alla perfezione formale, a partire dall’uso di professionisti del cinema come Gerron, costretti a realizzare un prodotto di propaganda, oggi convenzionalmente noto come «Hitler regala una città agli ebrei».
I due mesi scarsi di riprese dovevano mostrare condizioni idilliache in un ghetto-modello in cui i bambini giocavano felici e gli adulti conducevano una vita normale, dove il cibo non mancava e le condizioni sociali e igieniche erano lodevoli, per rassicurare i Paesi neutrali sulle voci sempre più insistenti sullo sterminio degli ebrei. L’ultimo ciak, l’11 settembre 1944, faceva scendere il sipario su una grottesca mistificazione.
LO STERMINIO
Gerron non avrebbe mai visto il film perché i nazisti non gli diedero neppure l’opportunità di montarlo, compito affidato al cameraman e assistente Ivan Fric. Il 23 settembre i nazisti liquidarono il set, il 27 fucilarono Eppstein avviando il giorno dopo le deportazioni che si protrarranno fino al 28 ottobre: 18.500 persone in undici convogli ferroviari; tra gli ultimi, orchestrali e coristi che sotto la direzione di Rafael Schächter avevano eseguito il Requiem di Giuseppe Verdi davanti ad Adolf Eichman, come gesto estremo di sfida considerato il testo e il significato dell’opera.
Quanto al film, sarà proiettato tre volte, nell’aprile del 1945. La prima a Praga, le altre due proprio a Theresienstadt di fronte a un’altra delegazione della Croce Rossa Internazionale. Nel dopoguerra la pellicola dell’inganno venne ritenuta perduta nell’incendio degli archivi del Reichssicherheitshauptamt, ma successivamente sono stati riscoperti frammenti per poco meno di mezz’ora rispetto ai novanta minuti della durata originale. Tra gli spezzoni, la partita di calcio nello spiazzo della caserma Amburgo, con il pubblico che fa il tifo per le due squadre.
Il titolo originariamente concepito era «L’autogoverno ebraico a Theresienstadt», poi abbreviato in «Theresienstadt». Ma Hitler non aveva affatto regalato una città agli ebrei. Dei quasi novantamila deportati dal ghetto di Theresienstadt, ne sopravvissero circa undicimila.