Il Messaggero, 12 settembre 2024
Biografia di Pocahontas
Nel cartoon Disney la principessa Pocahontas, nativa americana di una tribù di lingua algonchina e figlia del capo Powhatan (che è anche il nome della tribù), incarna lo spirito della Natura, il legame simbiotico che gli esseri umani devono instaurare con tutti i viventi e gli elementi. Mentre corre nelle foreste della regione governata da suo padre, che comincia allora a essere nota come Virginia (nome che viene dall’appellativo Vergin Queen, la “regina Vergine” Elisabetta I Tudor), Pocahontas è consapevole del nesso virtuoso che tiene insieme l’universo. Un nesso sconosciuto agli inglesi che arrivano per mare. Costoro vorrebbero imitare gli spagnoli, riportando in patria un mucchio d’oro. Iniziano così una distruzione del territorio che deve estendersi agli indiani, bollati come “selvaggi”.
GLI SCONTRI
Questi decidono di reagire, chiamando a raccolta le tribù. A interrompere la spirale è l’amore fra la principessa e il marinaio John Smith. A Smith Pocahontas suggerisce di mettersi nei panni degli altri invece di trinciare giudizi, perché solo così si possono comprendere le ragioni che li animano. “Pensi che io sia una selvaggia ignorante, ma se la selvaggia sono io, come può essere che ci sono tante cose che tu non sai?”, gli chiede retoricamente. E gli fa notare che “ogni creatura ha uno spirito, un nome Siamo tutti connessi gli uni agli altri in un cerchio che non finisce mai”.
La storia prosegue con John condannato a morte dai nativi per un omicidio che non ha commesso. Pocahontas lo salva; lui salva il padre di lei dalle fucilate inglesi, ma viene ferito al posto di Powhatan. Gli stranieri allora decidono di tornare in patria per far curare Smith. Non si sa se il marinaio vivrà e rivedrà la ragazza: le aveva chiesto di partire con lui ma Pocahontas ha rifiutato, perché ritiene che il suo posto sia nella terra natia.
LE ORIGINI
Questa è la favola disneyana, che prende le mosse da una storia in cui leggenda e verità si intrecciano. La “principessa” indiana, nata attorno al 1595, è ancora molto giovane nel 1607, quando arrivano un centinaio di coloni inglesi che fondano la colonia di Jamestown. Vorrebbero trovare l’oro, nonché il mitico passaggio che consenta di giungere al Pacifico. Ma, come si dice, primum vivere: l’obiettivo fondamentale diviene presto e solo resistere al gelido inverno. Molti coloni muoiono per una carestia e i superstiti fanno appello ai nativi, agli indigeni. Con grande generosità, questi ultimi offrono cibo e domandano in cambio del rame per fabbricare strumenti utili e armi per la caccia.
GLI ACCORDI
Si stabiliscono dei rapporti commerciali; Pocahontas entra in relazione con gli inglesi, li aiuta, sollecita i suoi. Come scrive la rivista “Storica” di National Geographic, del resto, era naturale che “la gestione degli alimenti fosse una responsabilità femminile presso i nativi”. Fra l’altro, “nella società powhatan le donne ricoprivano ruoli di primo piano. Si accasavano unicamente con individui in grado di dimostrare il proprio valore. Potevano occupare posizioni di comando ed erano considerate fonti di saggezza e di autorità”. Sono consapevolezze e responsabilità più attuali e lungimiranti di quelle dei giorni nostri. Purtroppo gli stranieri non mantengono gli accordi, bensì li tradiscono – una costante, nella storia terribile del genocidio degli Indiani d’America, basti pensare a Sand Creek di cui cantava Fabrizio de André – approfittando della loro forza per espandersi nelle terre dei nativi. Cominciano gli scontri: Pocahontas si fa parte attiva, accompagna il padre nelle missioni diplomatiche, scende in battaglia. Intavola negoziati per il rilascio dei prigionieri e distribuisce cibo per sbloccare la situazione. Alla fine del 1607, gli indiani catturano John Smith ed è la ragazzina a salvarlo ("rischiò la sua stessa testa per la mia”, scriverà lui). Non c’è nessuna love story, però. Pare che la fanciulla aiuti poi una seconda volta l’uomo, ma la lirica versione verrà contestata dai discendenti di lei.
LA RISOLUZIONE
Nel 1613, Pocahontas viene rapita dal colono Samuel Argall e tenuta prigioniera a Jamestown, dove si converte al cristianesimo e sposa un coltivatore di tabacco, John Rolfe. La ragazza sa che il matrimonio è utile per distendere i rapporti con gli inglesi, tanto che l’unione è detta “la pace di Pocahontas”. Viene battezzata “Rebecca” e con Rolfe, da cui ha avuto un figlio, parte per l’Inghilterra. Lì ritrova John Smith, che scrive alla regina Anna di trattarla con rispetto. Diventa un personaggio noto, emblema di una possibile integrazione, e si reca a corte. Dovrebbe tornare in Virginia con il marito, ma muore di malattia a Gravesend, sul Tamigi, nel 1617. A ricordarla, c’è ancor oggi una statua. Non è detto, però, che le cose siano andate in modo così romantico. Potrebbe darsi che la ragazza sia stata costretta a convertirsi e a sposarsi, poi portata a forza in Inghilterra ed esibita come un fenomeno da baraccone. È successo con altri natives. Per questo è importante, nella Storia, cercare di restituire la voce agli innocenti, ai “sommersi”. Perché raccontino la loro versione. Che, troppo spesso, è quella vera.