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 2024  settembre 12 Giovedì calendario

Intervista al figlio di Pino D’Angiò

«Disincantato, fuori dal gossip e dal mainstream discografico, ieri come oggi mio padre Pino D’Angiò è sempre stato una specie di alieno. Un uomo con i piedi per terra e la testa fra le nuvole della sua musica. Un anticipatore più che un precursore e mi è sembrato giusto portare a termine questo ep che ci eravamo riproposti di pubblicare prima che arrivasse quella brutta notte del 6 luglio scorso e se ne è andato via». Oggi esce Funky Maestro che raccoglie gli ultimi 4 brani di Pino. E il figlio Francesco ora riannoda i fili della memoria.
Come nasce il titolo?
«Lo abbiamo discusso a lungo perché non essendo un esibizionista la parola “maestro” gli faceva un po’ paura ma gli ho ricordato che lui è stato uno dei pionieri del genere nel nostro Paese. Allora si è convinto».
Il brano Non diventare come loro sembra un testamento spirituale.
«In quella frase c’è tutto mio padre. Dal funky al rap sino alle cose più moderne, alla fine non ha mai smesso di essere curioso. Lo interessava stare lontano dai riflettori, un passo indietro, diceva».
A Sanremo con i BNKR44 l’Italia si è stupita di vederlo di nuovo sul palco.
«Ma si è anche subito resa conto di due cose: la prima è che Ma quale idea era ed è la prima canzone rap italiana; e che mettersi in gioco a oltre 70 anni con un gruppo di ragazzini ne dimostrava l’intelligenza e la coerenza».
Fu l’unico italiano ad aver vinto un Grammy nell’ R’n’B non andò a ritirarlo. Perché?
«Nei primi anni ‘80 ebbe un ottimo successo che si allargò anche a Spagna, Francia, Belgio, Sudamerica e Stati Uniti. In quegli anni era uscito un pezzo di un duo musicale australiano, i Madison Avenue, intitolato Don’t Call Me Baby con la linea di basso di Ma quale idea eseguita dal bassista di papà Stefano Cerri. Un successone in America e non solo. Gli arrivò una lettera che lo invitava a ritirare il Grammy e lui disse: ma che ci vado a fare? Per quei signori sono solo un nome su un foglietto e io che mi faccio ’sto viaggio? Gli scrivo e chiedo se me lo spediscono a casa. E così fu».
Nel 2003 fu inserito anche nel disco Sony Music World tribute to the funk con tanto di show a Parigi ma qui non se ne seppe nulla.
«Un suo classico. Era sul palco con Oliver Cheatham, i Pasadena, James “D-Train” Williams, Jocelyne Brown e fece come se niente fosse, solo una delle tante cose che aveva fatto».
Ha detto: «Poter vivere Pino come genitore è stato un privilegio difficilmente spiegabile».
«Pino passava da una sala operatoria a un aereo per volare verso i concerti e i fan in tutta Europa, sempre felice. A dicembre 2023 gli hanno tolto un polmone, ma diceva: per fortuna ne ho un altro. E due mesi dopo ballava sul palco di Sanremo. Sapeva godere di quello che faceva. Mi diceva sempre di allenarmi alla felicità: gli esercizi li sto facendo».
Ai live si stupiva del pubblico giovane che conosceva i suoi testi.
«È così. Da studente faceva cabaret nel locale più famoso di Siena portando in scena cose molto innovative, ma di nicchia. Lo chiamò a Milano Ezio Leoni, già produttore di Mina, e gli disse che doveva continuare a fare la sua strada perché era unico. Lui lo ascoltò e oggi i ragazzi che recuperano anche il primo D’Angiò dimostrano che aveva ragione».
Una frase che le resterà nel cuore?
«Quando la rivisitazione di Ma quale idea diventata Ma che idea con i BNKR44, superò i 30 milioni di streaming glielo dissi e mi brillavano gli occhi. Mi guardò e con il suo solito tono scanzonato disse: pensa che una volta quei numeri erano di dischi venduti, quelli veri, questi sono clic, solo clic».