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 2024  settembre 12 Giovedì calendario

Biografia di Ornella Vanoni

Ornella Vanoni vive in una casa piccola ma piena di luce, riposante, nel centro di Milano, tra le opere dei suoi amici artisti: Melotti, Novelli, Enzo Cucchi, Arnaldo Pomodoro. «Era molto più bella la casa di prima, in largo Treves. Ma ho dovuto venderla». Perché? «Ero rimasta con trenta euro sul conto».
Come mai?
«Ragioni di famiglia. Paga questo, paga quello... ma non me ne importa nulla».
Lei è di famiglia altoborghese.
«Ma poi arrivò la guerra. Mio padre ebbe due fabbriche bombardate. Sfollammo a Varese».
La guerra come la ricorda?
«Da bambina non hai il senso della morte. Per i miei genitori fu una tragedia; ma io mi divertivo. A scuola suonava l’allarme aereo, scappavamo via e non facevamo lezione. Il pomeriggio andavo nel parco di mio zio, con il calessino, i cavalli e quattro cugini maschi, che mi prendevano in giro».
Ma poi bombardarono anche Varese.
«Anziché scendere nei rifugi, con il rischio di fare la fine del topo, papà ci portava nei campi, e si gettava su di me per proteggermi dalle schegge».
Un bravo papà.
«Ma mi ha scombinato il rapporto con gli uomini. Ero convinta che pure loro si sarebbero fatti uccidere pur di proteggermi. Invece non mi ha mai protetta nessuno. Forse non volevo essere protetta. O forse volevo; ma non ho mai fatto niente per esserlo».
Come ricorda l’arrivo degli americani?
«Il cameriere gridò impazzito: stanno arrivando! Scendemmo in strada. Ci parvero tutti bellissimi: capelli corti, magliette bianche, profumo di Palmolive; così diversi dai nostri poveri soldati. Gettavano sigarette, cioccolato e cicche. Sembravano dei. Ci hanno liberati; però adesso sono anni che ce la fanno pagare».
Chi è stato il suo primo amore?
«Giorgio Strehler».
Fu con lui la prima volta?
«No, avevo già avuto altri uomini. Ma l’amore l’ho scoperto con Giorgio. Prima non sapevo cosa fosse. Quando lui mi disse “ti amo da impazzire”, fu come se si fosse rotto il carapace dentro cui ero imprigionata. Pensai: voglio stare con lui. Mi sentivo davvero amata alla follia; ed essere amate alla follia è bellissimo. Anche se Giorgio all’inizio era molto timido».
Strehler timido con le donne?
«Con chi gli interessava davvero, sì. Salivo in tram, lui mi seguiva con la macchina, poi, quando scendevo, spariva… Avevo tutti contro».
Tutti chi?
«La mia famiglia. La gente. Milano era indignata. La borghesia considerava il teatro un luogo di peccato; in realtà ci si fa un culo quadro, insomma, si lavora moltissimo».
Perché è finita con Strehler?
«Per i suoi vizi».
Quali vizi? Le donne? La droga?
«Vari vizi».
Lei ha sofferto molto?
«No. O segui il tuo uomo, o lo lasci. Se il tuo uomo tira cocaina, non puoi rimproverarlo ogni volta: o ti metti in pari, o finisce tutto. Non può andare come in Pulp fiction, dove uno è eccitatissimo perché si fa di coca e l’altro è abbattuto perché ha fumato una canna… All’epoca era uno scandalo. Poi Milano divenne il regno della cocaina».
E lei?
«Non fa per me: io ho bisogno di essere calmata, non eccitata. Così lasciai Strehler e andai a Spoleto, che era il mondo di Visconti. Lì ebbi un rapido flirt con Renato Salvatori, quello di Poveri ma belli».
Un duplice tradimento: artistico e sentimentale.
«Fu una storia senza importanza, ma Strehler telefonava disperato: “Non posso vivere con te, non posso vivere senza di te!”».
Quanti uomini ha avuto?
«Un po’».
Di quanti si è innamorata davvero?
«Quattro. Strehler, Gino Paoli e altri due. E con tutti loro sono rimasta in contatto. Oddio, con Strehler fino a quando non è morto».
E suo marito, il produttore Lucio Ardenzi?
«Lui non l’ho mai amato».
Perché l’ha sposato allora?
«Perché pensavo che prima o poi ci si deve sposare. Avevo avuto la tisi. Subito dopo Strehler; ma non me l’ha attaccata lui, sia chiaro! Ero vissuta per un anno e mezzo in montagna, vicino a Sestriere, con due cani, un lupo e un cocker. Un bel periodo: tornai che ero un fiore. Ma avevo bisogno di affetto, di abbracci».
Nacque un figlio, Cristiano.
«Con lui ho ricostruito il rapporto nel tempo. Pensava che ogni volta lo abbandonassi per il rutilante mondo dello spettacolo. Credo accada un po’ a tutte le mamme: a un bambino è difficile spiegare che devi lavorare, ma non per questo preferisci il lavoro a lui».
Gino Paoli mi ha raccontato che grazie a lei ha imparato a fare l’amore.
«È vero, me l’ha detto. Ma dice pure che per causa mia ha cominciato a bere e a fumare. E questo, gliel’assicuro, non è vero».
Lei entrò alla Ricordi, Paoli stava suonando, lei si appoggiò al pianoforte, con le sue grandi mani...
«E gli chiesi di scrivere una canzone per me. Nacque così Senza fine».
Paoli racconta anche che in hotel a Viareggio scese per fare colazione in giardino e trovò lei e sua moglie Anna, sedute sul dondolo, che gli diceste: «Devi scegliere, o una o l’altra».
«Anna mi disse: senza Gino muoio, senza Gino non posso stare; e io mi sono fatta da parte. Ma pensa mica che Paoli si sia accorto di tutto questo? Lui era concentrato su sé stesso. Dice che l’ho lasciato. Non l’ho lasciato; me ne sono andata: è diverso. E poi sentivo già odore di Stefania».
Conosceva la Sandrelli?
«No. Era un presagio. Gino alla Bussola era assediato dalle donne: il successo aiuta ad avere successo. Stefania si trasferì a Roma, e Gino ha voluto che andassi con lui a trovarla: “Desidero che tu partecipi alla mia vita...”. È anche sadico! (la Vanoni sorride)».
Con la Sandrelli siete diventate amiche?
«Non esageriamo: ci siamo viste due o tre volte, e lei non parlava, stava molto zitta. Comunque mi è sempre stata simpatica».
Con Mina invece eravate amiche?
«Ottime conoscenti. Ci alternavamo in tv a Milleluci. Le proposi: “Tu sei più forte di me, perché non facciamo il programma insieme?”. Accettò. Ero in vacanza a Paraggi, Gigi Vesigna mi diede la notizia: hai visto che Mina fa la trasmissione con la Carrà? Le telefonai: “Mina, allora è vero quello che si dice, che sei vigliacca”. E lei: allora è guerra? “No, è una constatazione”. E riattaccai».
Avete poi fatto pace?
«Certo, abbiamo anche cantato insieme. Lei mi diceva: “Ti vedo un po’ sciupata...”. Poi sussurrava: “Dovresti essere tu a dire a me che mi vedi un po’ sciupata”» (la Vanoni si produce in un’imitazione perfetta di Mina).
Perché si è ritirata, secondo lei?
«Mi diceva: più mi allontano dalle paillettes, più sono contenta».
E lei, Ornella?
«A novant’anni, ormai, dove vuole che mi ritiri?».
Quando Gino Paoli si sparò al cuore, lei andò a trovarlo in ospedale.
«Di notte, per non farmi fotografare, ed evitare che partisse il pettegolezzo: per chi si è sparato?».
Per chi si è sparato?
«Questo deve chiederlo a lui. Gino era in camera iperbarica e rideva come un matto. Mi scompigliava i capelli e diceva di me: “Sembra un setter, invece è un boxer! È il mio boxer!”».
Cosa intendeva dire?
«Il setter ha stile, eleganza. Il boxer è un caciarone bisognoso di affetto e di tenerezza».
Ma lei Ornella è un setter o un boxer?
«Posso essere entrambe le cose».
E Tenco perché si è sparato?
«Forse voleva imitare Gino. Di sicuro era fatto di pronox e aveva bevuto una bottiglia di calvados. C’ero anch’io, a Sanremo. Quando lo vidi gli corsi incontro, lui alzò gli occhi, aveva le pupille dilatate, capii. Per questo avvertii Dalida e il suo entourage di stare attenti. Non so se il loro fosse vero amore. Luigi era scosso anche perché la Rai gli aveva censurato la canzone. Lo trovò il suo compagno di stanza: era Lucio Dalla. Io stavo in un altro hotel e non mi dissero nulla, altrimenti mi sarei rifiutata di cantare».
Torniamo alla Milano del dopoguerra. Com’era?
«Fantastica. Anche se non c’era più una pianta: i milanesi le avevano bruciate tutte per scaldarsi. All’inizio è stata dura. Ma potevi fare incontri favolosi».
Ad esempio?
«Giorgio Gaber: uomo di una dolcezza infinita, talentuoso, ironico. Dopo di lui incontrai Enzo Jannacci: ogni volta che lo vedevo, mi esplodeva il buon umore. Cantava Quando gli zingari arrivarono al mare, e Gaber diceva: “Non capisco se Enzo è un genio o un cretino”».
Come nascono le canzoni della mala?
«Fu un’idea di Gino Negri: facciamo le canzoni da cortile. Strehler lo corresse: è fiacco, chiamiamole canzoni della mala. Cominciammo a girare per osterie. Alla fine però Ma mi la scrisse Giorgio, e Le mantellate la scrivemmo insieme. Era il periodo in cui Laura Betti cantava le canzoni di Pasolini. Tutti pensavano: quando quelle due si incontrano, finisce a botte».
Invece?
«Ci abbracciammo e diventammo amiche. Divenni amica anche di Dacia Maraini. E mi innamorai di Pier Paolo».
Amore intellettuale?
«No no, quando lo sentivo parlare mi batteva forte il cuore. Aveva un volto scavato che mi ricordava Eduardo De Filippo».
E lui?
«Non avrebbe mai sfiorato una donna, perché in ogni donna vedeva sua madre. Ma si può amare anche senza sesso, sa? I versi di Pasolini per la madre sono stupendi. Io sono sempre stata apolitica, ma per Pier Paolo litigai sia con quelli di destra, sia con quelli di sinistra. Lo detestavano tutti. Era la nostra Cassandra. Le cose che intuiva erano reali e future».
Che idea si è fatta della sua morte?
«L’hanno fatto fuori. E Pelosi c’entra come c’entra mio nonno».
Perché dice di essere apolitica? Non era amica di Craxi?
«Di Craxi trovavo straordinarie le pause. Faceva cadere le parole. Siamo anche andati insieme in Senegal, lui con sua moglie Anna, io con il mio fidanzato di allora, Giorgio Tocchi».
Il terzo uomo che ha amato?
«Sì. Un figo bestiale: superficiale, sempre allegro, cucinava benissimo. Dopo tanta sofferenza, con lui furono quattro anni di vacanza».
E il quarto chi è?
«Un avvocato di Venezia».
Si è mai innamorata di una donna?
«Sì. Ma non mi piace il sesso femminile. Una tragedia».
Dicevamo di Craxi.
«Ridatecelo! Ridateci pure il gobbo!».
Andreotti?
«Lui. Con tutti i difetti, con tutti gli orrori, era gente che sapeva gestire il Paese. Fare i conti. Capire un artista. Mi ha colpito un’intervista tv a Di Pietro. Diceva: hanno scelto me non perché ero il più bravo, ma perché ero il più ignorante, e quindi avrei parlato alla gente in modo che tutti capissero. Mi è parso un gesto di umiltà, quasi di pentimento. Oggi abbiamo Sangiuliano».
La Meloni come la trova?
«Piccola. Carina. Preparata: fa politica con la Fiamma da quando era ragazza. Ma non è riuscita a crearsi una squadra di livello. Quando ho sentito che volevano prendersi pure la Scala e il Piccolo, con il figlio di La Russa, ero pronta a sdraiarmi davanti all’ingresso, in pieno inverno».
E la Schlein?
«Non è preparata, e mi dispiace. A sinistra non avevano una donna con più corpo, più sapienza, più cultura politica? La sinistra ce l’ha messa tutta a far votare la destra. Si sono davvero applicati».
Berlusconi?
«Stavo pensando proprio a lui. Aleggia sempre nell’aria. È un morto vivo».
L’ha conosciuto bene?
«La prima volta venne a cena dal mio compagno di allora, che lavorava alla Rothschild. Berlusconi era solo un imprenditore, aveva una bellissima faccia e una simpatia immediata. Poi andai a lavorare a Mediaset, ma non mi piacevano gli sketch che avevano preparato. Lui mi convocò: “Chi non fa i miei sketch, non lavora per me”. Ma non erano mica suoi, erano degli autori! Per Berlusconi però era la stessa cosa».
Quindi non eravate amici.
«Quando comprò il Manzoni gli dissi che era un teatro borghese: c’erano i palchetti e non la balconata, da dove viene il calore, il posto degli enfants du paradis. Davano Maria Stuarda di Zeffirelli; gli dissi che a me le opere di Zeffirelli non piacevano, riempiva troppo il palco, non c’era più spazio per uno spillo...».
E Berlusconi?
«Si sfogò con Montanelli: certo che la Vanoni ha un caratterino...».
Di Dario Fo che ricordo ha?
«Era molto simpatico (la Vanoni imita perfettamente pure Dario Fo). Con Franca Rame andavamo alla Caritas a portare offerte, aiutavamo don Colmegna. C’era anche il giovane Sergio Cusani».
Lei ha conosciuto la depressione.
«Mio padre era depresso, e io ho preso da lui. È una cosa che ti porti dentro. Mi faceva tenerezza: avrei voluto aiutarlo, e non potevo. Prendeva l’ansiolin, andava a dormire alle 9, alle 6 era sveglio e non sapeva cosa fare».
Lei quante depressioni ha avuto?
«Due o tre. Stavo così male che mollai tutto e andai a San Rossore, da Cassano. Mi disse: non dormi da sei mesi, ci credo che sei depressa. Mi curarono. Ora grazie agli psicofarmaci posso scivolare nella tristezza, non sprofondare nella depressione. Ma devi prenderli per tutta la vita».
Lei però ha avuto una vita felice.
«Molto felice, e anche molto infelice. È come un’onda: arriva, arriva, arriva la felicità; e subito dopo arriva, arriva, arriva l’infelicità».
In effetti le sue canzoni hanno espresso l’inquietudine, la nevrosi, la malinconia dell’Italia dopo l’euforia degli anni 60.
«Una persona intelligente e sensibile è per forza anche malinconica. Ad esempio io adoro la pioggia: mi dà una pace... forse avrei dovuto vivere a Dublino. Però ho cantato anche canzoni allegre. Pensi alla Bossa Nova».
Ma anche lì c’è malinconia.
«Però in Brasile prevale sempre l’allegria. In quel disco per la prima volta c’è Vinicius che parla: “Amica mia, tu cammini e pensi a me, e i tuoi seni si riempiono di latte…”. Quanto vorrei tornare ancora una volta a Bahia, a gettare fiori bianchi in mare...».
Adesso ha inciso un nuovo album, a 90 anni.
«Hanno usato la mia voce di adesso, per farmi ricantare vecchi successi, arrangiati da dj in chiave disco».
Tornerà in tv da Fabio Fazio?
«Certo! Con lui mi trovo benissimo. È una pacchia. Non ci sono copioni: mentre vado là in macchina penso alle cose da dire».
Lei ha due nipoti.
«Matteo lavora nella pubblicità. Camilla vive nel mondo, ha il diploma di chef e di diving, cucina e fa immersioni, non le importa nulla di diventare ricca e famosa, vuole solo essere libera».
Qual è il segreto della longevità?
«La genetica. Hai organi che funzionano più a lungo di quelli degli altri. Però la vecchiaia infinita è un falso mito. Ci sono scienziati che si portano in Sardegna a studiare un signore di 106 anni che zappa. Ma questi hanno fatto un’altra vita, hanno respirato un altro mondo».
Non le piace la Milano di oggi?
«Punta tutto sui soldi, e basta: non c’è altro argomento. È tutto troppo caro; e non è Londra. Roma se non altro è meno frenetica. Stendhal doveva essere strafatto, quando disse che il paesaggio della Lombardia era il più bello del mondo: Milano dall’alto è avvolta da una cappa giallognola. Forse bisognava davvero spianare il Turchino, per far arrivare l’aria».
Crede in Dio?
«Credo ci sia sopra di noi qualcosa di più grande, così grande da non poter neppure essere nominato. Prego Gesù. Il mio Dio è Gesù. Quando frequentavo i protestanti lessi la Bibbia: un romanzo di fantascienza. Ne parlai con il cardinal Martini, che mi rispose: la Bibbia va interpretata».
Com’era il cardinale?
«Fu l’unico uomo che per il suo carisma mi mise in imbarazzo, altro che David Bowie... Un gigante. Ricordo le sue Lettere da Gerusalemme: sto morendo, la mia fede è grande, ma sono un uomo, e ho paura».
E lei Ornella ha paura della morte?
«No. Capirò quando sarà il momento di andarmene, quando sarò inutile alla vita e la vita sarà inutile a me. Non voglio fare come mia zia, che ha vissuto fino a 107 anni: un tormento».
Perché?
«Aveva la mente lucida e il corpo infermo. Non riusciva a morire ed era disperata. Guardava il soffitto e mormorava: “Signore, portami via...”. Non vedo l’ora di vedere il film di Almodóvar».
Ma in Italia non c’è l’eutanasia.
«Si trova sempre un modo per decidere quando e come andare via. Se non c’è, lo si inventa. Non ci sono forse i suicidi?».
Come immagina l’aldilà?
«Siamo energia, e l’energia rimarrà in circolo. Non ci saranno angeli che cantano. All’inferno però non posso andare».
Perché, non lo merita?
«No. Perché ho la pressione bassa, e non reggerei tutto quel caldo. Ho anche il giustificativo medico».
Come vorrebbe essere ricordata?
«Con un’aiuola».
Un’aiuola?
«Chi è rimasto della grande Milano del dopoguerra?».
Soltanto lei e Celentano.
«Adriano è una persona deliziosa, peccato non esca più di casa. Mi dicono che ha paura dei virus, e fa bene: la terra è stanca di noi. Leggo che in futuro sarà dominata dagli uccelli o dagli insetti. Preferirei gli uccelli, che almeno sono variopinti».
Dicevamo di come vorrebbe essere ricordata.
«Il teatro Lirico l’hanno dedicato a Gaber, le due sedi del Piccolo a Strehler e a Grassi, la Palazzina Liberty a Fo e a Rame, lo Studio alla Melato. Per me non è rimasto niente. Per questo rivolgo un appello al sindaco Sala: mi dedichi un’aiuola in centro».
Non mi pare un grosso problema.
«Ma c’è una condizione».
Quale?
«Il sindaco non dovrebbe aspettare che io muoia. La voglio da viva. Adesso. “Aiuola Ornella Vanoni, manutenuta da lei”. Me ne prenderei cura di persona. Pianterei fiori e pomodori».
Inter o Milan?
«Sono andata a San Siro una volta sola, con mio marito. Giocava il Milan. Da allora tifo, tiepidamente, Milan».