Avvenire, 12 settembre 2024
Brancati, il romanzo che va al cinema
Nel siracusano c’è un borgo marino che si affaccia sullo splendido mare di Sicilia in cui il cinema è di casa. Parliamo di Marzamemi, una incantevole cartolina di fine estate direttamente dal set del Commissario Montalbano e ancora prima di film premi Oscar come Mediterraneo di Gabriele Salvatores e Nuovo Cinema Paradiso di Peppuccio Tornatore e Il padrino di Francis Ford Coppola. Qui, per il terzo anno, si tiene il “Marzamemi CineFest. Radici, Identità, Nuovi Innesti”. E quest’ultima sezione, il Premio Internazionale Nuovi Innesti, è il riconoscimento speciale che viene assegnato alla figura peculiare dello sceneggiatore. Un Premio dedicato alla memoria e alla straordinaria figura, vittima di troppe distrazioni da parte della critica ufficiale – letteraria e cinematografica – di Vitaliano Brancati. Un grande dimenticato, un “irregolare”, nato, nel 1907, a pochi tornanti da Marzamemi, nel comune di Pachino, patria del pregiato pomodorino. Ed è succosa e purtroppo passata in secondo piano gran parte dell’opera di Brancati che 35enne si gettò nell’universo di celluloide, ma più per necessità che per effettiva vocazione verso la settima arte. La sua vera arte infatti, era quella del letterato, laureatosi a Catania con una tesi sull’autore del Vicerè, Federico De Roberto. Lavorò come insegnante di Italiano al Magistrale di Caltanissetta, fece il giornalista e fondò una rivista letteraria, Ebe in cui si cimentava anche come poeta. Un crepuscolare, affascinato dal fascismo che ne segnò lo stile degli esordi. Un longanesiano, collaboratore di Omnibus, trasferendosi a Roma divenne amico di Corrado Alvaro e Alberto Moravia, ma nel ’34 in seguito a una forte crisi esistenziale prese le distanze dal regime e rinnegò tutta la sua produzione precedente. Pertanto era un uomo nuovo il Brancati che si poneva al servizio dell’industria cinematografica firmando la sceneggiatura del film di Luigi Chiarini La bella addormentata, tratto dall’omonimo dramma teatrale di Pier Maria Rosso di San Secondo (1887-1956). Drammaturgo nisseno e fervido romanziere che nell’anno delle crisi “mistico-politica” di Brancati aveva ricevuto il “Premio Mussolini” per la letteratura. Con i libri non si mangiava già all’epoca, così, nonostante i tre romanzi pubblicati prima del ’42, Singolare avventura di viaggio, Gli anni perduti e Don Giovanni in Sicilia (quest’ulimi due editi nel 1941) Brancati fu costretto a farsi incantare dalle sirene munifiche di Cinecittà. Un lavoro forzato, perché annotava: «Io scrivo, per esempio, una pagina ogni mattina per sentire se il mio cervello, dopo l’odioso lavoro di sceneggiatura del pomeriggio e della sera, durante il quale si è mescolato ad altri cervelli in un mucchio di materia grigia tanto grosso e gonfio quanto inerte e stupido, viva ancora di vita propria». Il suo contributo al cinema italiano si concretizzò in un decennio operoso, fino alla morte precoce avvenuta settant’anni fa, il 25 settembre 1954, in cui Brancati aveva collaborato alla realizzazione di 29 film. Molti di questi sono ispirati alla sua poetica siciliana che svariava dal racconto breve, a quello lungo fino al romanzo. Dal suo racconto Il vecchio con gli stivali, la storia dell’impiegato comunale Aldo Piscitello, interpretato da un grande e anche lui dimenticato Umberto Spadaro, obbligato a iscriversi al Partito nazionale fascista per conservare il posto di lavoro, Luigi Zampa aveva tratto il film Gli anni difficili che nel 1948 scatenò un polverone polemico sulle scorie e le pagine oscure del recente passato politico, mettendo in risalto l’aspetto grottesco di un’Italia capace di cancellare con un colpo di spugna la fascinazione per il fascismo per aderire all’imperante trasfor-mismo della Prima Repubblica. Il film attaccato da tutti gli schieramenti, destra in primis, venne bollato di “qualunquismo”: etichetta staccata con forza da Italo Calvino che riconobbe invece l’ottimo lavoro di riflessione sulla politica come «impegno civile» che è poi quello che muove la “trilogia” di Zampa a cui continuò a collaborare Brancati. Il secondo capitolo dell trilogia fu gli Anni facili (1948). Pellicola in cui Nino Taranto è il professore siciliano De Francesco, vittima di una Roma baronale e corrotta che risente ancora del clientelismo e degli inciuci del fascismo. Il terzo atto della premiata ditta Zampa-Brancati produsse L’arte di arrangiarsi (1954), commedia esilarante con un Alberto Sordi nei panni del catanese Sasà Scimoni, il prototipo del voltagabbana e dell’arrampicatore sociale che rientra tra i migliori ritratti impersonati dall’attore romano, fustigatore dei vizi dell’italiano medio. Brancati che veniva dalla scrittura della commedia monicelliana Guardie e ladri (1951) insisteva con la necessità di portare sul grande schermo quella “coscienza civile” che aveva trasmesso per via saggistico-narrativa al suo “allievo”, Leonardo Sciascia. Per il visionario di Racalmuto, Brancati rappresentava il “Maestro”, uno di quegli autori imprescindibili per cui come ha scritto Piergiorgio Bellocchio in Diario del Novecento (ilSaggiatore) «Sciascia passa alla metafisica e al culto della sicilianità». Nel suo Diario Romano Brancati denunciava e invitava la classe politica e i cittadini tutti a un sano quanto necessario «esame di coscienza: ecco tre parole gravemente discreditate in Italia. Il solo sentirle pronunziare dà fastidio e suscita una smorfia di ripugnanza come se alludessero a un’operazione immorale e leggermente disgustosa». Brancati prima che sceneggiatore è stato un autentico “scrittore civile”. E il suo coraggio di denunciare i mali, ma anche i vezzi e i vizi piccolo borghesi dell’Italia del dopoguerra, si rintracciano anche nei romanzi Il bell’Antonio e Paolo il Caldo che postumi divennero altrettanti film girati rispettivamente da Mauro Bolognini e Marco Vicario. Forse la trasposizione del Il bell’Antonio , nonostante i protagonisti Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale, non avrebbero soddisfatto Brancati per la scarsa attenzione riservata da Bolognini alla critica al fascismo che pervade il romanzo. Mentre forse avrebbe apprezzato gli esiti al botteghino di Paolo il caldo che grazie a un giovane e già magistrale Giancarlo Giannini nel ’73 portò nelle casse della produzione (Atlantica-Medusa Distribuzione) 3 miliardi di vecchie lire. Un risultato che allo scrittore di Pachino avrebbe sicuramente alleggerito il peso di quell’odioso lavoro di sceneggiatura del pomeriggio e della sera.