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 2024  settembre 12 Giovedì calendario

I paperoni di Singapore

Singapore, vado a Singapore, cantavano qualche decennio fa i Nuovi Angeli. Un motivetto facile facile (firmato tra gli altri anche da un certo Roberto Vecchioni) in cui la Città Stato che costituisce la quarta e ultima tappa del viaggio di papa Francesco in Asia e Oceania era vista come un ritiro quasi ascetico rispetto alla confusione della società occidentale. Ebbene, in pochi decenni la situazione si è ribaltata. A Singapore ci è andato praticamente tutto il mondo, turisti e uomini di affari, banche e multinazionali, compresa la Formula 1 (che è noto va dove ci sono i soldi). Così questa isoletta sita nel mare dove si incrociano le rotte tra la Malesia e l’Indonesia è diventata una delle piazze economiche e finanziarie più importanti dei cinque continenti, con una concentrazione spaventosa di ricchezza (il 15 per cento della popolazione ha un patrimonio di più di un milione di dollari) che si riflette in 4.300 grattacieli dallo skyline avveniristico. Marina Bay, il cuore della città, è una specie di Manhattan d‘Oriente con 68 palazzi oltre i 230 metri di altezza. E l’edificio forse più iconico di tutti, il Marina Bay Sands, con le sue tre torri sovrastate da una struttura di 340 metri a forma di nave, offre un campionario di meraviglie che vanno dai giardini pensili con ristoranti e locali a una piscina a sfioro di 150 metri sospesa a 200 metri dal suolo (la più alta del mondo). Senza contare un hotel con 2.561 stanze e il terzo più grande casino del pianeta (500 tavoli da gioco e 1.600 slot machine). Ma è tutto oro quello che luccica? Il Papa, martedì a Timor Est, ha usato espressioni che tornano in mente davanti a questo scenario. «C’è tanta ricchezza, ma il benessere acceca i potenti e la loro presunzione li porta a essere egoisti e ingiusti. Per questo anche se ci sono tanti beni, i poveri sono abbandonati e soffrono la fame». Ha evocato addirittura l’immagine dei coccodrilli che mordono, Francesco. E anche se non parlava di Singapore, le sue espressioni fanno pensare, dato che i poveri esistono anche in un posto come questo. Solo che spesso finiscono sotto il tappeto come la proverbiale polvere. La polvere di Singapore è l’invecchiamento della popolazione, le tensioni etniche e religiose, un welfare pubblico sempre più insufficiente, le necessità abitative, i migranti (il 38 per cento della forza lavoro, 1,5 milioni di persone) talvolta discriminati e poco integrati. Sono gli effetti collaterali degli squilibri nella distribuzione della ricchezza. Anche nel regno di Paperon de’ Paperoni.