Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  settembre 12 Giovedì calendario

Per far quadrare i conti mancano dieci miliardi. Meloni cerca l’aiuto dell’Istat

ROMA – E pazienza se l’Europa raccomanda di non tardare. «Aspetterà», è la linea che Giorgia Meloni consegna al mattino al suo fedelissimo messaggero. Al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, incaricato di dettare i tempi del rinvio per l’approdo alle Camere del Piano strutturale di bilancio. Non un provvedimento qualsiasi, ma la carta d’identità di una programmazione economica, quindi anche politica, fatta di riforme e investimenti. E di impegni sul deficit da tagliare e sul debito da contenere.
Dirà, il Piano, qual è l’idea che la destra al governo ha del Paese per i prossimi sette anni. Dei rapporti con Bruxelles nell’anno primo delle nuove regole fiscali che seguono la stagione pandemica del debito per tutti. L’atto iniziale della presidente del Consiglio è il mancato rispetto delle scadenze. Ecco il disimpegno. Imposto dai conti che non tornano. Non mancano solo 10 miliardi alla manovra, l’appendice del Piano. A ballare è la sua fonte, quella curva della spesa pubblica che va tenuta sotto controllo. Con i tagli o alzando le tasse, suggerisce la dottrina economica che Meloni non può però digerire. E però i margini sono stretti, come il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti va ripetendo nelle ultime ore. Una sorta di cantilena per tenere a bada gli appetiti della maggioranza sulla Finanziaria, ma anche per mettere le cose in chiaro con la premier. Qualcosa, è il non detto, bisognerà fare. E quel qualcosa è la speranza affidata alla revisione delle stime dei conti relativi agli ultimi cinque anni che l’Istat renderà nota il 23 settembre. A Palazzo Chigi tutti si aspettano un ritocco all’insù del Pil, a cascata un segnale positivo sul debito. E questo è il primo segnale di affidabilità che Meloni vuole mettere nero su bianco all’interno del Piano. Se l’effetto domino della crescita rivista regalerà qualcosa alla manovra in cerca di 10 miliardi ancora meglio. Al ministero dell’Economia, la parola “tesoretto” è interdetta, ma la prudenza è d’obbligo quando FdI, Lega e Forza Italia continuano a bussare alla porta di Giorgetti per strappare anche una bandierina da issare dentro alla manovra delle proroghe.
L’aria che tira a Chigi, invece, è assai diversa. «Vediamo i dati del-l’Istat, tutto quello che viene di positivo sarà utile per la legge di bilancio», confidano fonti vicine alla presidente del Consiglio. L’importante, per la premier, è non giocare d’anticipo. Piccolo o grande che sia, il “ritocchino” del Pil può esserle comunque utile. Anche a costo di ignorare l’Europa. «Per la presentazione del Piano c’è un certo margine, ovviamente non stiamo parlando di un margine illimitato», è il richiamo che veicola unfunzionario europeo. La scadenza del 20 settembre non è formale, ma non per questo la Commissione europea è disposta a tollerare un rinvio eccessivo. Poco importa alla premier. Ciriani viene spedito al Senato con un compito preciso: il Parlamento deve aspettare la prima settimana di ottobre per esaminare il Piano. Prima i dati Istat, poi le carte sui conti, è la linea che viene validata dalla conferenza dei capigruppo. Giorgetti sbuffa. Ai suoi dice che così si dà un segnale di scarsa serietà all’Europa. La prova del malessere è la nota che parte dal Mef a metà pomeriggio, quando il blitz di Ciriani rimbalza sulle agenzie di stampa. «Il ministero dell’Economia e delle Finanze – recita il comunicato – prende atto delle decisioni del Parlamento sulla calendarizzazione del Piano strutturale di bilancio». E poi: «Rimane confermato l’esame del Piano al prossimo Cdm di martedì 17». Tradotto: il Tesoro può arrivare con le carte pronte già la settimana prossima e allinearle poi all’aggiornamento dell’Istat.
Ma la premier è intransigente sullo slittamento. Teme che il Parlamento si trasformi in un’arena scatenata contro il governo. I numeri “aperti”, quindi un assalto delle opposizioni – è la preoccupazione – che rischierebbe di bissare quello atteso nei prossimi mesi, quando toccherà alla manovra passare dalle Camere. Meloni non vuole rilievi da parte delle commissioni. Vuole, invece, un Consiglio dei ministri a fine mese, poi il Piano in Parlamento all’inizio del prossimo. E pazienza se mancheranno pochi giorni alla presentazione a Bruxelles del Documento programmatico di bilancio, la griglia della manovra. Il 15 ottobre è la seconda scadenza che conta. E già traballa. A cascata la Finanziaria. Ecco i conti che non tornano.