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 2024  settembre 12 Giovedì calendario

A cena nel bistrò dove servono la carne coltivata

Singapore – Sembra pollo, ha la consistenza del pollo ed ebbene sì, ha anche il sapore del pollo. Nel senso che nessuno riuscirebbe a indovinare che quella carne tenera e delicatamente speziata non provenga da un allevamento, ma da un laboratorio di altissima tecnologia in un’area industriale a pochi chilometri di distanza. Siamo a Singapore, allo Huber’s Butchery and Bistro, raffinato negozio di gastronomia con annesso ristorante: l’unico posto al mondo (finora) dove è possibile comprare o consumare la cosiddetta carne coltivata.
Davanti a me, a spadellare il pollo coltivato, c’è lo chef Jeff Yew, product development manager della Good Meat Asia, l’azienda che nel 2020 è riuscita ad ottenere l’autorizzazione per commerciare un prodotto che arriva direttamente da un futuro possibile. «La carne coltivata è rivolta a chi non è vegetariano ma è contrario all’idea di uccidere gli animali. Quindi è un prodotto che si colloca perfettamente a metà strada tra ciò che queste persone vogliono mangiare e ciò che possono mangiare in base ai loro principi», ci racconta Jeff Yew, mentre serve il pollo al pubblico dello show cooking: turisti, giornalisti, curiosi.
La scelta di produrre e vendere la carne a Singapore non è casuale: è praticamente priva di agricoltura, importa il 90 per cento del cibo che consuma e la sicurezza alimentare è certamente una delle sue priorità. Per questo, il governo ha offerto anche incentivi fiscali e sussidi ad aziende come Eat Just, che appunto coltiva il pollo per Huber’s Butchery.
«Abbiamo letto sui giornali di questo divieto italiano rispetto alla carne coltivata – spiega lo chef Yew – ma voglio chiarire che non è nostra intenzione danneggiare le culture gastronomiche dei territori. Nessuno vuole produrre il prosciutto di Parma con la carne coltivata, anche perché non sarebbe possibile».
Già perché, è bene ricordarlo, mentre la città-stato asiatica ha aperto le porte al futuro, abbracciando la food revolution, e molti altri si preparano a farlo, in Italia è stato approvato un disegno di legge che vieta produzione e distribuzione di carne coltivata. Ma se l’Europa darà l’ok al commercio, l’Italia non potrà in nessun modo mantenere il divieto. Il governo italiano porta avanti la sua crociata contro la carne «coltivata» o «sintetica», «pulita», «artificiale», «in vitro» o «di laboratorio» – sono tante le espressioni usate finora –, nel resto del mondo il business della carne a base cellulare continua a crescere: nel 2040 varrà circa 450 miliardi di dollari.
Ma di cosa è fatto esattamente il pollo di laboratorio? La carne coltivata si ottiene a partire da cellule animali, che vengono prelevate in modo indolore e fatte proliferare all’interno di un bioreattore, una sorta di incubatrice. Qui vengono alimentate con gli stessi nutrienti di cui si nutrirebbe l’animale, come amminoacidi, grassi e vitamine, e lasciate crescere: «Il prodotto finale non contiene ormoni, antibiotici e non ci sono ossa o possibili contaminazioni da materia fecale. Se si pensa alla questione da prospettive diverse, entra in gioco anche la salute degli esseri umani, non solo il benessere degli animali», prosegue Jeff Yew.
In effetti uno degli aspetti potenzialmente più rivoluzionari della carne coltivata riguarda proprio la salute. Da tempo la ricerca evidenzia come un consumo regolare di carne, possa esporci ad un rischio più elevato di malattie cardiache, diabete e ad alcuni tipi di cancro. Tra dieci o vent’anni potremmo avere sugli scaffali dei nostri supermercati, hamburger e salsicce coltivati in laboratorio senza colesterolo e senza grassi saturi e con un contenuto ridotto di ferro eme, uno dei principali indiziati per il diabete di tipo 2.
«Per produrre questa carne non deforestiamo e non coltiviamo ampie porzioni di terreno per coltivare soia e mais da trasformare in mangime per polli che poi verranno uccisi. E questo significa molte meno emissioni di gas serra», dice Yew impiattando la mia porzione di pollo coltivato. In effetti la carne coltivata rappresenta una delle innovazioni più promettenti per ridurre l’impatto ambientale dei sistemi alimentari, specialmente quello degli allevamenti intensivi. Una ricerca dell’Università di Oxford, pubblicata sulla rivista Environmental Science & Technology, evidenzia come la produzione su larga scala di carne coltivata possa diminuire drasticamente non solo le emissioni di gas serra, ma anche il consumo di risorse fondamentali come acqua e suolo. Anche se bisogna tenere conto del fatto che si tratta di un sistema ad alta intensità energetica: la carne coltivata richiederà circa 160 megajoule di energia per chilo di carne, contro i circa cento necessari per la carne bovina da allevamento. Finora il maggior ostacolo alla diffusione della carne coltivata sono stati i costi: «È più costosa, ma i nostri sforzi vanno nella direzione di creare un prodotto che sia accessibile al più gran numero possibile di persone, perché tutti possano mangiarla». Per produrre di più e a basso costo, l’azienda avrebbe bisogno di bioreattori più grandi, una sfida ingegneristica e tecnica, ma anche di capitale: «Una scommessa che pensiamo valga la pena di fare», conclude Jeff Yew. E sembra che stia dicendo: arrivederci nel futuro, molto presto.