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 2024  settembre 12 Giovedì calendario

In morte di Ernesto Franco

Versiamo lacrime per Ernesto. Non sono metaforiche. Sono un distillato di tante cose, ricordi, scherzi, autoironie, allegria, intese; sogni e sciocchezze, anche, ma sempre piene di tanta umanità. Così lo ricordiamo ancora fino alle sue ultime fatiche del vivere, agli alti e bassi della malattia quando i dolori che si avvertono finali ingombrano lo spirito con le preoccupazioni per chi viene dopo di noi, senza di noi.Ripassando i ricordi degli anni trascorsi, l’immagine che mi appare immediatamente è di Ernesto di fronte al mare, al vasto mare popolato dalle sue isolette reali e di fantasia, di cui ha indagato realisticamente e poeticamente molti significati profondi, tutti specchi riflettenti il suo spirito, le sue ambizioni e i suoi desideri. I suoi scritti e le sue scoperteeditoriali nel mondo fantastico della cultura ispano- americana riflettono questa apertura sentimentale. In questo momento, l’immagine che risale a tanti anni fa, che ritornava continuamente, scherzosamente ma non solo per scherzo, e che mi è venuta subito in mente, è quella del leudo. Per chi non lo sapesse, il leudo è una barca della tradizione marinara ligure, rara a vedersi e oggi non più in uso. È ricordata soprattutto come un reperto di un’epoca che non c’è più.Un grosso gozzo con una grande vela latina triangolare, agganciata a una randa di sbieco che, quando il vento la gonfia, la fa assomigliare a un grande uccello marino. Allora Ernesto mi propose di comprarne uno, se ancora ce ne fossero, e poi partire enavigare per dove ci avesse condotto, noi con qualche fiaschetta di vermentino delle Cinque Terre. Partire, non per scomparire, ma per ritornare rinfrancati. Un gioco dell’immaginazione, certo. Ma il mondo immaginifico non nasce dal nulla e, soprattutto, è come una sfera vuota che si può riempire delle proprie inclinazioni e passioni profonde, incondizionate e, perciò, autentiche. Intorno a quella barchetta, per tanti anni, hanno ruotato tanti pensieri di quel che non poteva esistere se non in fantasia.Il mio legame professionale con l’Einaudi risale a prima dall’incorporazione della casa editrice nel gruppo Mondadori. Siamo nel 1994. Per Giulio Einaudi, scrivere per le edizioni einaudiane era una scelta che implicava una dedizione esclusiva. Pubblicare anche con altri non era una scelta, ma un tradimento. Ora, l’ingresso dell’Einaudi in Mondadori e della Mondadori in Einaudi faceva temere per la sua identità, costruita in decenni al servizio della libertà, della cultura e della democrazia. Precisamente perché, per gli autori, pubblicare con Einaudi implicava un’adesione e non era solo una scelta rinnovabile (o non rinnovabile) volta per volta. A non pochi di loro, e tra i più importanti, si pose un problema, se non di coscienza, almeno di coerenza. Era un momento difficile. La defezione di massa avrebbe compromesso quell’immagine di roccaforte culturale che fino ad allora aveva esercitato tanta forza d’attrazione tra gli autori e presso il pubblico dei lettori.Insomma, avrebbe potuto essere, quello, uno spartiacque. Alcuni lasciarono, altri rimasero e la casa editrice, pur essendo diventata più d’un tempo sensibile ai conti e alle esigenze di mercato, restò fedele alla sua tradizione. Ricordo perfettamente i contatti di quell’estate e le sollecitazioni in un senso e nell’altro che raggiungevano anche me, pur essendo io una “acquisizione” abbastanza recente della casa editrice. Un’acquisizione seguita a un lungo colloquio proprio con Ernesto durante il quale avevo cercato di spiegare il senso d’un lavoro su un certo tipo di diritto che avevo in mente. Non so come avvenne che egli approvò l’idea, riassumendola in poche echiare parole. Ricordava poi ironicamente, in tante circostanze, che al che io gli avrei detto, pari pari: lei non ha capito niente! Forse, più educatamente, avrei dovuto dire: forse non sono stato chiaro, oppure, forse le idee che ho sono ancora confuse, mi scusi. Raccontava anche di avere intravisto qualcosa, ma piuttosto oscuramente e propose allora un titolo a sua volta oscuro (proprio per questo destinato a un certo successo): il diritto mite.Le ragioni di quelli che non rinunciarono alla fedeltà all’Einaudi furono varie e, aggiungo, si dimostrarono valide. Innanzitutto, l’idea di Torino come polo d’attrazione di cultura. Oggi, dire così sembra fuori tempo: provincialismo, azionismo, snobismo sabaudo, eccetera. Eppure, per me è stato così: Bobbio, Galante Garrone, Augusto Monti eccetera. Poi, l’idea che l’Einaudi sia un’istituzione culturale vera e propria e che, come tutte le istituzioni, anche questa deve avere una vocazione alla durata al di là degli accidenti che può incontrare nella sua storia. Soprattutto, però, valeva la fiducia nella serietà e nell’indipendenza dei tanti che, con varie mansioni, l’Einaudi facevano vivere, nel lavoro editoriale quotidiano. Erano gli anni di Roberto Cerati, Vittorio Bo, Walter Barberis e, per l’appunto, Ernesto Franco i quali, poco a poco, prepararono la successione al Fondatore, Giulio Einaudi. La crisi fu superata e la casa editrice mantiene tutte le attrattive d’un tempo. Non c’è più, per chi vi è ammesso, l’interdetto che valeva un tempo a pubblicare con altri (anche se non manca un disappunto che non viene taciuto, anzi è dichiarato: retaggio dello spirito d’allora). Pubblicare “per Einaudi” è sempre un titolo d’onore e d’orgoglio. Potremmo dire: semper talis et semper nova,come tutte le cose vitali. “Durissima coquit”, ed è stato così.Anche a Ernesto, anzi a Ernesto tra i primi, amico amabile e molto amato, anche per questo dobbiamo gratitudine.I funerali di Ernesto Franco si terranno venerdì 13 settembre alle 11.30 a Genova, Parrocchia di Sant’Antonio in BoccadasseLui mi appare di fronte al mare, al vasto mare popolato dalle sue isolette reali e di fantasia