Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  settembre 11 Mercoledì calendario

Poveri prof, sempre più poveri

Poveri docenti, in Italia guadagnano meno dei colleghi stranieri e sono tra i più anziani. Una condizione di difficoltà oggettiva, per la scuola italiana, che si evidenzia anche nei fondi destinati all’istruzione. Il paragone con l’estero, anche in questo caso, non regge: sono ancora troppo poche le risorse rispetto a quelle stanziate dai Paesi dell’area Ocse. È quanto emerge dal rapporto “Education at a Glance 2024”. Quello degli stipendi dei docenti italiani è un problema che viene da lontano. I dati Ocse infatti, prendendo in esame gli stipendi minimi degli insegnanti della scuola media italiana con 15 anni di esperienza, spiegano che tra il 2015 e il 2023 sono aumentati dell’8%. Ma la maggior parte di questo aumento, in realtà, è servito solo a compensare l’aumento del costo della vita.
Quindi in termini reali, vale a dire tenendo conto dell’inflazione, gli stipendi degli insegnanti sono diminuiti del 6% negli ultimi otto anni. Un calo impressionante soprattutto se paragonato a quel che è accaduto invece all’estero: nei Paesi Ocse, infatti, si è registrato un aumento medio del 4%. Non solo, i docenti italiani oltre che malpagati sono anche tra i più anziani dell’area Ocse. Oltre la metà degli insegnanti italiani, il 53%, è over50, contro una media Ocse del 37%. Il dato è in lieve calo rispetto agli anni passati ma resta ancora troppo alto perché rappresenta forti criticità: le assunzioni tra le nuove leve arrancano, vanno troppo a rilento, e così il corpo docente ha alle spalle troppi anni di precariato ed entra in ruolo in tarda età. È chiaro che la scuola italiana, rispetto a quel che accade negli altri Paesi, non ha molte risorse a disposizione e infatti anche la spesa pubblica per l’istruzione resta sotto la media Ocse. In Italia rappresenta il 4% del Pil contro il 4,9% della media Ocse. Nel dettaglio il report indica la spesa per studente, espressa in dollari, in base al livello di studio: la spesa media annua per studente dalle elementari all’Università in Italia è di 12.760 dollari rispetto a una media di 14.209 dollari nei Paesi Ocse. «Nella maggior parte dei paesi si sottolinea nel rapporto Ocse la spesa aumenta in base al livello di istruzione: in Italia, la spesa per studente è di 13.799 dollari nell’istruzione primaria, 11.739 dollari nell’istruzione secondaria e 13.717 dollari nell’istruzione terziaria». L’Italia rileva il rapporto è tra i paesi in cui la spesa come quota del Pil è rimasta pressoché costante al 4%. Per quanto riguarda invece le risorse destinate all’educazione della prima infanzia, in Italia l’investimento pubblico è diminuito dell’11% tra il 2015 e il 2021. Nell’area Ocse invece è aumentato in media del 9%. «Questi dati sono avvilenti commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief l’innalzamento delle risorse pubbliche da riversare nella scuola diventa una necessità sempre più impellente, ancora di più se pensiamo che i suoi insegnanti sono pagati almeno il 30% in meno dei colleghi d’oltre confine. Per questo chiediamo, già con la prossima legge di bilancio, incrementi di 300 euro a lavoratore della scuola anche per rispondere all’aumento esponenziale del costo della vita». Una scuola con poche risorse, infatti, non può guardare al futuro cercando di innovarsi.
Eppure è quel che serve in un Paese in cui i Neet sono ancora troppi: si tratta dei giovani che non studiano e non lavorano. La percentuale è diminuita di 6 punti percentuali dal 2016 e ha raggiunto così il 20% nel 2023, ma rimane ancora troppo alta rispetto alla media Ocse dove si ferma al 14%. Non solo, la scuola deve migliorarsi per far sì che anche i figli di genitori non laureati possano andare all’università. Ad oggi non è proprio così: in Italia infatti arriva alla laurea il 69% degli adulti tra i 25-64 anni che hanno almeno un genitore laureato. La media Ocse arriva al 72%. La percentuale scende invece al 52% tra coloro che hanno i genitori con il diploma e al 10% tra i figli di genitori senza diploma. I figli di genitori senza diploma, invece, nel 37% dei casi non arrivano neanche alla maturità, il 37% dei figli di coloro che non hanno il diploma. Il rapporto di Parigi tocca anche altri temi, legati agli stipendi delle donne. Anche in questo ambito l’Italia raggiunge un triste primato, il peggiore tra tutti i Paesi considerati perché le giovani laureate italiane guadagnano in media il 58% del salario dei loro coetanei maschi: questa differenza rappresenta il più grande divario retributivo di genere nell’area Ocse. Guadagnano meno anche le ragazze con il solo diploma: l’85% dei loro coetanei maschi. Non solo, a parità di titolo di studio le donne hanno più difficoltà a trovare un impiego e il divario è generalmente più ampio per coloro che non hanno conseguito il diploma. Si riduce invece con l laurea. In Italia infatti trova un impiego solo il 36% delle giovani donne senza un diploma mentre la quota tra i maschi arriva al 72%. Nell’area Ocse le donne non diplomate trovano un lavoro nel 46% dei casi, i maschi invece nel 72% come in Italia.