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 2024  settembre 11 Mercoledì calendario

Papa Francesco eroe a Timor Est

C’è chi ha viaggiato quattro giorni, prima in macchina, poi a piedi, poi in barca per guadare un fiume, poi di nuovo a piedi nella giungla. July e Rose sono arrivate da oltreconfine, dall’altra metà dell’isola sotto il dominio indonesiano: «È stato pericoloso», confidano. C’è chi è incredulo fino all’ultimo. «C’è gente che pensava che mai in vita sua avrebbe visto il Papa», dice padre Thomas Ravaioli, «e invece…».
E invece eccolo qui, papa Francesco. A 87 anni, il respiro corto, ormai incapace di camminare, è salito con la sua carrozzina su un C-130 dell’aeronautica militare australiana a Port Moresby, la capitale della Papua Nuova Guinea, e ha percorso 911 chilometri, andata e ritorno in un solo pomeriggio, per visitare Vanimo, un punto sperduto nella mappa dell’arcipelago, una manciata di casupole strette tra l’oceano e la foresta tropicale.Lo accolgono con i canti tribali, gli mettono un copricapo con le piume, lui è contento. La gente è poverissima, si muore per una malattia stupida, scarseggiano elettricità e acqua potabile, e qui una decina di anni fa è arrivato un gruppetto di missionari argentini che tentano di strappare la gente all’alcolismo, alla stregoneria e alle violenze nei confronti delle donne. Hanno aperto una scuola per bambine e una corale. Sembra Mission, il film sui missionari gesuiti del Seicento in Sud America, solo quattro secoli dopo: all’epoca erano la Spagna e il Portogallo a volere le mani libere, nelle foreste intorno a Vanimo si taglia senza posa legna da esportare in Cina, l’arcipelago è in mano alle multinazionali che sfruttano oro, argento e rame e lasciano la mancia. Uno dei missionari, padre Martin Prado, anni fa è andato a Roma con qualche parrocchiano, il Papainaspettatamente li ha ricevuti e ha promesso: «Un giorno verrò io a trovarvi».Bergoglio sta compiendo il viaggio più lungo del pontificato, dodici giorni in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e, da oggi, Singapore, una finestra affacciata sulla Cina. Con l’età e gli acciacchi sembrava improbabile e invece gira come una trottola, arringa le folle di fedeli, scherza: «Anche io vengo dalla fine del mondo, ma voi di più», dice ridendo ai vescovi e ai sacerdoti di Timor Est. Mostra plasticamente che è perfettamente in grado di guidare la Chiesa, e indica la direzione che essa deve prendere. La Papua Nuova Guinea, ha detto, è «così lontana da Roma eppure così vicina al cuoredella Chiesa cattolica», Timor Est «proprio perché è ai confini del mondo si trova al centro del Vangelo».Il viaggio non poteva non iniziare dall’Indonesia. Se sul Pacifico affacciano Stati Uniti, Cina, Russia, Australia e Giappone, è Giacarta la potenza di medio calibro che ha spesso dettato legge sui vicini. Gli indonesiani vedono nel Papa un leader mondiale, condividono le sue idee su Ucraina e Medio Oriente, lui elogia il modello di convivenza del paese in un mondo segnato da «guerre sanguinose».Quella nel più popoloso paese musulmano del mondo è più che una visita di cortesia. L’islam qui è tollerante, l’estremismo è statoemarginato, Francesco partecipa a un incontro presso la moschea e la cordialità è sancita dai gesti: l’imam Nasaruddin Umar gli dà un bacio sulla testa, il Papa bacia la mano dell’imam.Se a Giacarta il corteo papale passa inosservato, a Timor Est un fiume di gente si riversa in strada. Giovani e bambini si arrampicano sui tetti e sugli alberi, è festa nazionale per tre giorni, mezzo paese partecipa alla messa nella spianata accanto alla capitale. Solo nel 2002 il paese ha conquistato l’indipendenza dall’Indonesia dopo trent’anni di repressione, un quarto della popolazione sterminata. La Chiesa è l’unica istituzione che ha difeso il popolo e oggi il 98% della gente è cattolica.Un prestigio al quale corrisponde un potere non esente da abusi. Il vescovo Carlos Filipe Ximenes Belo, padre della patria e premio Nobel per la pace, violentava ragazzini poveri già negli anni Ottanta: solo due anni fa un giornale olandese lo ha rivelato. Ma nessuno qui crede alle accuse: «Sono solo voci, è innocente». Francesco gira alla larga dalla vicenda, ma con i vescovi e i preti va alla radice del problema e li mette in guardia dal rischio di sentirsi «superiori al popolo», invischiati nella «corruzione». Sarebbe la parabola seguita da altri paesi dove la Chiesa è stata colonna nazionale, dalla Polonia all’Irlanda al Cile, e oggi è ignorata quando non contestata.Ogni luogo ha la sua specificità ma nell’oceano Pacifico Francesco, un papa del global south, dovunque sembra a suo agio. In queste acque solcate per secoli da esploratori e missionari, crocevia di scontri tra i giganti della storia che un tempo si contendevano le spezie e oggi il petrolio, vede i danni di una decolonizzazione incompiuta e un luogo cruciale per il futuro del cristianesimo. Ma approfitta del viaggio anche per inviare, all’interno, il messaggio che la Chiesa non è eurocentrica né occidentale, asserragliata a Roma, rinchiusa in dispute dottrinali e liturgiche. Perché, scandisce, «una Chiesa che non ha capacità di andare ai confini e si nasconde nel centro è una Chiesa molto malata»