Corriere della Sera, 11 settembre 2024
Reportage da Foggia: in reparto come in trincea
«Mi sono rivisto nelle immagini, mentre spingo contro la porta per impedire che entrino per menarci. E mi sono messo a piangere, come un bambino. Non ci si può ridurre a questo, non si può aver paura di andare a lavorare». Sono ancora molto scossi in Chirurgia toracica, il reparto del Policlinico Riuniti di Foggia al centro nei giorni scorsi di una feroce caccia al personale. Episodio innescato dalla rabbia e dalla violenza di amici e parenti di Natasha Pugliese, una giovane di 23 anni morta in sala operatoria il 5 settembre. A parlare è uno degli infermieri aggrediti insieme ai colleghi di reparto, che per timore di ritorsioni chiede di restare anonimo: «Ci sono colleghi che dopo l’accaduto hanno chiesto di trasferirsi, altri che stanno valutando offerte dall’estero».
Considerato il clima, l’esodo dai reparti del personale ospedaliero è una concreta possibilità che il direttore generale degli ospedali Riuniti, Giuseppe Pasqualone, sta cercando di fronteggiare. Consapevole però che la situazione è molto complessa e che i mezzi di difesa sono inadeguati. Avverte del pericolo: «Finiremo per chiudere il nostro Pronto soccorso. E se le cose dovessero continuare così rimarremo inevitabilmente senza medici, infermieri e operatori sanitari. Siamo vicini al dolore della famiglia (Pugliese, ndr) e stiamo facendo accertamenti per risalire alla verità dei fatti, ma l’appello che rivolgo alla cittadinanza è di rispettare il personale in servizio perché composto da professionisti totalmente affidabili».
I dati sono impressionanti. Sono più di trenta le aggressioni segnalate dallo scorso giugno ad oggi. Pasqualone parla di intimidazioni e minacce da parte dei parenti dei pazienti come di eventi all’ordine del giorno. «Episodi a cui i medici sono purtroppo abituati». Denuncia anche «violenze fisiche con tanto di diagnosi inaccettabili per chi è lì per servire il prossimo».
Si pensa, e non da oggi, alle possibili soluzioni. Una potrebbe essere l’introduzione di un manager della sicurezza. Di questo si sono fatti carico anche il rettore dell’Università di Foggia, Lorenzo Lo Muzio, e la sua vice, Donatella Curtotti. Nel frattempo sono arrivate le prime risposte dello Stato. I carabinieri hanno arrestato due uomini, protagonisti di altri fatti di violenza avvenuti nei giorni scorsi ai danni di infermieri e di un vigilante.
Il clima a Chirurgia
Un rapporto da sempre complicato quello tra Foggia e gli ospedali Riuniti. I problemi si trascinano da anni. In questo monolite da duemila posti letto, l’intolleranza ai medici è fenomeno antico. La realtà dice che manager e direttori, a turno, hanno provato a debellarla. Fino ad ora senza grandi fortune. Per giunta, dopo lo scioglimento per mafia del Comune (2021), il Policlinico è diventato il front office di chi non trovava sostegno né nei servizi sociali né nell’assistenza territoriale. «Da allora vengono in ospedale anche per una ferita – fanno sapere dalla direzione sanitaria —, per una caviglia gonfia o un’indigestione». Al Pronto soccorso si fa la fila per qualsiasi cosa. Si racconta che fino a qualche anno fa «c’era persino un mercato nero dei numeretti elimina code». Forse questa anarchia ha esacerbato gli animi di un’utenza che sconta una cronica frustrazione. Finendo per creare terreno fertile al malcontento. «Si è rotto un patto tra noi e la città» – prova a spiegare Pasqualone. Che tuttavia invita gli utenti a mantenere la calma e ad avere fiducia: «Perché qui da noi lavorano professionisti di primo piano».
Personale sotto pressione. Medici che dicono di lavorare come se fossero in trincea. Nonostante non manchino tentativi di rilancio. Da anni nella cittadella del Policlinico è in corso un rinnovamento da complessivi 300 milioni. E i tanti disagi non hanno impedito ai dottori di eseguire operazioni e interventi eccezionali. «Ci sono reparti che potrebbero fare scuola – spiega il rettore Lo Muzio – come ginecologia e ostetricia, dove si registrano anche più di duemila parti l’anno». E tuttavia la fiducia nella struttura è ai minimi storici. «Chi entra in reparto – aggiungono da Chirurgia toracica – lo fa alzando la voce, come se avesse già subito un torto».
Proviamo a registrare l’umore. Andiamo in giro per il Pronto soccorso per respirare l’aria del giorno dopo. L’impressione è che il clamore suscitato dalle aggressioni non abbia scalfito l’atteggiamento ostile dei pazienti. Molti i commenti sulle violenze. Pochi i segni di condanna. Una donna e sua figlia sono qui perché alla ragazza fa male la testa da due giorni. Il commento della madre: «È tutto uno schifo, fanno bene ad ammazzarli di botte…».