Avvenire, 10 settembre 2024
Francesco saluta la Nuova Guinea: «No al riarmo»
Congedo più festoso non poteva esserci. I canti, i balli, l’entusiasmo dei giovani – erano in diecimila ieri mattina, nello stadio di Port Moresby – e il Papa che dialoga con loro come un vecchio amico. O un nonno. «Non potevo partire senza salutarvi», dice ai ragazzi. «Sono felice di questi giorni trascorsi nel vostro Paese, dove convivono mare, montagne e foreste tropicali; ma soprattutto un Paese giovane abitato da tanti giovani». Per questo Francesco mette quasi completamente da parte il discorso scritto e parla a braccio Questo è l’ultimo atto della tappa in Papua Nuova Guinea, che anche domenica aveva avuto momenti toccanti. Qui Francesco intesse una comunicazione profonda. «Imparate la lingua dell’amore, del cuore, della vicinanza e anche del servizio», raccomanda. E poi, facendo riferimento al racconto biblico della Torre di Babele, particolarmente attuale in una terra in cui si parlano 800 lingue e dialetti, prosegue: «Che cosa scegliete? La confusione o l’armonia?». Quando i giovani rispondono «l’armonia», commenta: «Siete bravi, eh?!». E allora, aggiunge: «è importante che impariamo questa lingua comune dell’amore. Siate Wantok dell’amore!» – wantok è il termine papuano che indica chi parla una certa lingua e appartiene ad un certo gruppo etnico.
A guardare il colpo d’occhio dello stadio “Sir John Guise” di Port Moresby, si direbbe che questo linguaggio sia già nel Dna dei diecimila giovani presenti. Ci sono sì le differenze di vestiti, etnie, tradizioni, ma c’è anche tanta armonia. Ai piedi del palco papale una ventina di ragazzi e ragazze, ognuno appartenente a un’etnia diversa. Poi una danza tradizionale in onore del Pontefice che invita a guardare in alto: «Senza Dio, senza trovare in Lui un “linguaggio” che ci unisce e ci tiene in connessione, ci disperdiamo, ciascuno pensa a sé stesso e ai propri bisogni».
Invece, contro il male dell’indifferenza, prosegue il Papa, «dovete avere l’inquietudine del cuore di prendervi cura degli altri». E ricorda che «c’è un rapporto molto importante nella vita di un giovane, la vicinanza con i nonni». Infine Francesco introduce un tema a lui molto caro: «Tutti possiamo sbagliare. Tutti. Ma l’importante è rendersi conto dello sbaglio. E dobbiamo sempre correggerci». E ricorda la canzone di montagna che dice così: “Nell’arte di salire, quello che importante non è non cadere, ma non rimanere caduto”. «E se vedete un amico, un compagno, un’amica, una compagna della vostra età che è caduto, che è caduta, cosa dovete fare? – domanda papa Francesco –. Ridere di quello?». «No», rispondono in coro i giovani. «Tu devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi». È la consegna spirituale conclusiva di questa parte del viaggio.
Quella più concreta papa Francesco l’aveva fatta domenica, portando a Vanimo, una città sulla costa nord dell’isola ai confini con l’Indonesia, una tonnellata di aiuti. Come ha confermato il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, un carico di medicinali, vestiti, giocattoli e altro materiale, oltre ad alcuni strumenti musicali per l’orchestra degli studenti che ha suonato a fine giornata per l’illustre ospite. Un dono straordinario e a suo modo simbolico per far sì questa terra «di paradiso» – la definisce proprio così il Papa – non si trasformi in un inferno, a causa della povertà, delle malattie, delle credenze superstiziose, della violenza e anche dello sfruttamento insensato delle ricche risorse del sottosuolo (oro e rame soprattutto).
Il Pontefice riassume il tutto all’Angelus. No al riarmo, sia pace tra le nazioni, l’uomo viva in armonia con il creato. E non vale solo per Papua, ma per il mondo intero. In effetti il tema ambientale fa più volte capolino nei discorsi del Pontefice. Francesco è venuto fin qui per testimoniare la sua vicinanza, e quella di tutta la Chiesa, a un popolo lontanissimo ma che è vicino al cuore di Dio, come ricorda nell’omelia della Messa celebrata allo stadio “Sir John Guise” di Port Moresby davanti a 35mila fedeli assiepati dentro e fuori dall’impianto sportivo. Durante la Messa il Papa lancia un messaggio al popolo papuano. «Anche a voi oggi il Signore dice: “Coraggio, non temere, apriti! Apriti alla gioia del Vangelo, apriti all’incontro con Dio, apriti all’amore dei fratelli”. Che nessuno di noi rimanga sordo e muto dinanzi a questo invito».
Quindi si parte per Vanimo, nota per le sue spiagge di sabbia bianca e la barriera corallina ancora incontaminata che richiama turisti e surfisti, ma con larghe sacche di povertà. Papa Francesco ci arriva su invito dei missionari argentini che conosce fin dai tempi di Buenos Aires. All’arrivo l’accoglienza è straordinaria.
“Welcome Pope Francis”, dice una scritta a caratteri giganteschi che galleggia nella baia e che il Papa può leggere dall’aereo. Sulla spianata che ospita l’incontro, oltre al vescovo di Vanimo, Francis Meli, ci sono ventimila fedeli da tutta la regione. Molti i gruppi di indigeni con i loro tipici costumi. Una bambina, che dice di essere nata con una malformazione alle gambe poi guarita, dopo la testimonianza, dona al Pontefice un copricapo piumato, segno di autorità, che Francesco indossa per diversi minuti.
Il messaggio del Pontefice è chiaro e forte. «Voi siete esperti di bellezza perché ne siete circondati», dice il Papa alla folla evocando «l’immagine dell’Eden». E tuttavia è una bellezza, nota Francesco, ferita da rivalità, divisioni tribali, da paure date da superstizione e magia, da sfruttamento, alcool e droghe. Bisogna che alla bellezza della natura corrisponda anche la bellezza d’animo delle persone. In fondo è proprio questo lo sforzo dei missionari che il Pontefice incontra poco dopo in una scuola cattolica in riva all’Oceano Pacifico. «Vivere uniti in armonia con Dio e con i fratelli, rispettando la casa comune e custodendovi a vicenda», sottolinea Francesco. La sintesi dei suoi giorni a Papua Nuova Guinea.