La Stampa, 9 settembre 2024
Enrico Letta: Europa verso il suicidio
«Dobbiamo fermare il declino di un’Europa che gode delle sue bellezze artistiche e culturali ma delega agli altri la capacità di creare valore». Enrico Letta non ha perso l’ottimismo. Sa che il Vecchio Continente, attraversato dalle tensioni e sotto l’offensiva sovranista, ha ancora grandi carte da giocare. «Cinque anni fa si discuteva di Italexit, oggi non ne parla nessuno. L’Unione europea non è più in discussione, anche perché abbiamo avuto triste risveglio dopo l’invasione russa in Ucraina, quando il mondo dei Brics non ci ha seguito» dice l’ex premier, che oggi presiede lo Jacques Delors Institute e ha appena pubblicato il libro “Molto Più Di Un Mercato”. Letta parla in una Cernobbio che ha ascoltato messaggi contrastanti: le fughe in avanti di Viktor Orbán, gli appelli all’unità di Volodymyr Zelensky, gli affondi anti-Green Deal di molti esponenti del governo italiano.
Presidente, ieri su questo giornale, l’economista Nouriel Roubini ha detto che l’Ue, per salvarsi, deve partire dal suo rapporto sul mercato unico. In che modo può essere la chiave della nuova Europa?«Bisogna assolutamente partire da un sano pragmatismo. Ci sono tre macro settori, più uno, che sono rimasti fuori dall’integrazione per una scelta politica. Sono le telecomunicazioni, i servizi finanziari e l’energia, a cui bisogna aggiungere la Difesa. Quest’ultima, secondo i Trattati, è per forza nazionale, mentre gli altri sono sovranazionali. Quarant’anni fa, quando non c’erano ancora Cina e India, si pensava che la dimensione nazionale fosse sufficiente. Oggi, con questi player internazionali a cui si aggiungono gli Stati Uniti, stare separati significa suicidarsi».Può farci qualche esempio?«Il disastro delle telecomunicazioni, i problemi energetici, e le fatiche della finanza europea sono dovuti tutti e tre in gran parte a questa frammentazione. Siamo tutti divisi e ognuno di questi operatori economici deve confrontarsi con un’Authority nazionale».Per anni abbiamo parlato della necessità di creare “campioni nazionali”. Non bastano più?«No, non bastano, bisogna andare verso società paneuropee. Sennò restiamo una colonia, come già siamo da tempo. Pensi ai pagamenti elettronici: sono tutti gestiti da società statunitensi. E succede lo stesso nel campo delle telecomunicazioni, il mercato è gestito da americani e cinesi. E poi c’è un altro aspetto».Quale?«Dei nostri risparmi, circa 300 miliardi di euro l’anno vengono allocati negli Stati Uniti perché lì trovano condizioni più vantaggiose. In questo senso, la bandiera del nazionalismo sovranista economico fa godere Wall Street, Pechino e l’India. Da un punto di vista economico, abbiamo bisogno di passare dal sovranismo nazionale a un sovranismo europeo. Il concetto chiave è quest’ultimo. Ed è fondamentale nei tre settori che ho citato in precedenza».Che cosa deve fare allora l’Europa?«Nel mio rapporto sul completamento del mercato interno ho indicato tre strade. Ma innanzitutto penso che dobbiamo tutti puntare su Ursula von der Leyen, si tratta dell’unica leader che, da questo periodo di debolezza politica europea, esce rafforzata».Ha accolto bene il suo lavoro?«Io sono contento perché il discorso programmatico con cui ha ottenuto il voto del Parlamento Europeo contiene tre grandi capitoli che sono nel rapporto e anche il clima generale che si respira attorno al rapporto di Mario Draghi. In particolare la presidente della Commissione europea ha rimarcato il punto sull’Unione del risparmio e degli investimenti, che è il nuovo nome che propongo al posto di “Capital market union”. Adesso dovrà trovare il commissario giusto, e questo servirà per finanziare la transizione verde».Tema però spinosissimo, visto che non solo Wilders e Orban sono contrari. Lo stesso governo italiano, trovando la sponda degli imprenditori, continua ad evocare un passo indietro...«Per fare veramente la transizione green, bisogna accompagnare gli agricoltori, l’industria automobilistica e le imprese. Se a queste tre categorie non si propone un sostegno economico si rischia la rivoluzione. Lo abbiamo già visto con il primo settore. Questa partita è ineludibile e va finanziata coi nostri risparmi in modo che diventino investimenti. Il tema di fondo è che tutte queste cose vanno accompagnate, altrimenti i cosiddetti “Paesi frugali” non le accetterebbero».Come si fa a convincerli?«Le chiavi possibili sono due. Primo, uno sblocco dei finanziamenti privati. Secondo, occorre usare la leva della necessità di finanziamenti per la Difesa, la questione che trasforma i frugali in europeisti, perché la guerra in Ucraina è ai loro confini. Ma ho un’altra idea».Ovvero?«Usare il Mes per finanziare le spese per la Difesa. Ho capito che è fattibile ed è anche un modo per sbloccare l’attuale impasse politica. Una carta che va aggiustata, che andrebbe integrata, ma che è fondamentale per l’esistenza stessa del fondo “Salva-Stati”. Su questo punto ho trovato generalmente una disponibilità omogenea anche da Paesi come la Germania. Inoltre, molti investitori internazionali chiedono più certezze. In tal senso, sarebbe utile creare una sorta di Delaware europeo (ovvero una zona economica con minor burocrazia come nello Stato Usa, ndr). Sarebbe un passepartout per gli investimenti esteri e aiuterebbe le piccole e medie imprese. In pratica, il 28esimo Stato europeo con una caratteristica unificante per queste risorse».Ci sono temi di cui di discute da decenni senza che si siano viste evoluzioni. Il debito, per esempio.«Non sono d’accordo. Si sono fatti passi avanti, dopo i vaccini in comune e il Next Generation Eu la narrativa di chi pensava che gli Stati dovessero uscire dalla Ue non si sente praticamente più».Il rilancio industriale è possibile?«Sì, l’Europa deve tornare a creare valore. Il mio rapporto parla di rilancio, dobbiamo fermare il declino di un continente che gode delle sue bellezze e delega agli altri la capacità di creare valore. Questo non è più sostenibile».Da Geert Wilders a Elon Musk, c’è un fronte di destra che parla di libertà di informazione a rischio e di social sotto attacco…«A me sembra tutto l’opposto. Il mondo dei social fa profitti grazie alla mistificazione dovuta all’anonimato, e su questo non vuole assolutamente mollare».Perché?«Perché l’anonimato è l’origine di tutte le fake news. È assurdo che sui social network sia consentito ciò che nella vita reale è vietato. Ecco perché penso che Elon Musk abbia assolutamente torto». —