Avvenire, 8 settembre 2024
Il reportage: il Papa in Nuova Guinea
Bambini e bambine in abiti indigeni accolgono il Papa all’ingresso dell’Apec Haus suonandogli l’inno argentino ed eseguendo una danza tradizionale. Il tetto dell’edificio è disegnato come una vela a forma di chele di granchio, come quella che viene issata dai pescatori sulle tipiche imbarcazioni locali a doppio scafo. Papua Nuova Guinea si mostra subito con il suo volto più autentico. Compresa la gente per strada, che fa da festosa ala al passaggio dell’auto del Pontefice.
Francesco ricambia l’affetto con un primo discorso che va dritto al cuore dei problemi di questa terra bellissima ma povera. Punto primo, lo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle multinazionali. Dice il Papa: «Questi beni sono destinati da Dio all’intera collettività e, anche se per il loro sfruttamento è necessario coinvolgere più vaste competenze e grandi imprese internazionali, è giusto che nella distribuzione dei proventi e nell’impiego della mano d’opera si tengano nel dovuto conto le esigenze delle popolazioni locali, in modo da produrre un effettivo miglioramento delle loro condizioni di vita». Punto secondo la debolezza dei governi locali. Francesco è esplicito: «La stabilità delle istituzioni» è un valore, ricorda. Accrescerla «e costruire il consenso sulle scelte fondamentali rappresenta infatti un requisito indispensabile per uno sviluppo integrale e solidale».
Punto terzo la violenza, male endemico di Port Moresby e di tutto il territorio nazionale. «Auspico – sottolinea il Pontefice – che cessino le violenze tribali, che causano purtroppo molte vittime, non permettono di vivere in pace e ostacolano lo sviluppo. Faccio pertanto appello al senso di responsabilità di tutti, affinché si interrompa la spirale di violenza e si imbocchi invece risolutamente la via che conduce a una fruttuosa collaborazione, a vantaggio dell’intero popolo del Paese. Nel clima generato da questi atteggiamenti – prosegue il Papa – potrà trovare un assetto definitivo anche la questione dello status dell’isola di Bougainville (dove in passato ci sono stati diversi tentativi, anche cruenti, di secessione dal resto dello Stato, ndr) evitando il riaccendersi di antiche tensioni”. Si presenta, dunque, come un avvocato difensore dei poveri papa Francesco, al suo arrivo in questo Paese insulare con il Pil più basso dell’Oceania, nonostante le risorse di oro, rame e bellezze naturali. Un Paese con un basso tasso di scolarizzazione, bande armate pericolosissime, scarsità di servizi sanitari, interi quartieri senza acqua potabile e servizi igienici. Il tutto anche come risultato dell’instabilità politica e delle ingerenze delle multinazionali.
Il Papa richiama ognuno alle proprie responsabilità, fin dal primo discorso ufficiale. Quello pronunciato nell’Hapec Haus, edificio fatto costruire in occasione della riunione dei Paesi dell’Apec (Asia Pacific Economic Cooperation), tenutasi qui nel 2018. Ad ascoltarlo ci sono i membri del corpo diplomatico e le autorità civili. Al suo fianco siede il governatore generale di Papua Nuova Guinea, Bob Bofeng Dadae, che è la massima autorità statale (Papua appartiene infatti al Commonwealth e il capo dello Stato è formalmente Re Carlo d’Inghilterra). A Bofeng in precedenza il Pontefice aveva fatto visita nella Government House, a circa tre chilometri di distanza. E il gover-natore aveva lanciato il suo allarme: «Il cambiamento climatico è reale. L’innalzamento del livello del mare sta incidendo sul sostentamento della nostra gente nelle isole remote della Papua Nuova Guinea e nel Pacifico». Ma aveva ringraziato per l’impegno della Chiesa, presente nel Paese da 179 anni, in campo ambientale, sanitario ede educativo.
Il Papa a sua volta sottolinea: «Questa ricchezza ambientale e culturale rappresenta al tempo stesso una grande responsabilità, perché impegna tutti, i governanti insieme ai cittadini, a favorire ogni iniziativa necessaria a valorizzare le risorse naturali e umane, in modo tale da dar vita a uno sviluppo sostenibile ed equo, che promuova il benessere di tutti, nessuno escluso, attraverso programmi concretamente eseguibili e mediante la cooperazione internazionale, nel mutuo rispetto e con accordi vantaggiosi per tutti i contraenti».
Non manca poi, il Pontefice, di ricordare che alla base di tutto deve esserci una forte tensione spirituale. E perciò loda la decisione di assumere come motto della sua visita la parola “pray” (preghiera). «Forse qualcuno, troppo osservante del “politicamente corretto”, potrà stupirsi di questa scelta; ma in realtà si sbaglia, perché un popolo che prega ha un futuro, attingendo forza e speranza dall’alto”, sottolinea Francesco. Ai cristiani, poi, il Papa chiede che la fede non si riduca mai all’osservanza di riti e di precetti, ma che consista nell’amare Gesù Cristo e seguirlo, e che possa farsi cultura vissuta», aiutando «anche la società nel suo insieme a crescere e a individuare buone ed efficaci soluzioni alle sue grandi sfide». Un pensiero va anche ai missionari, citando il beato Pietro To Rot, catechista e martire nel 1945, e il beato Giovanni Mazzucconi, del Pime. «Il loro esempio vi doni forza e speranza».
A braccio, infine, il Papa aggiunge una lode per le donne. “Esse portano avanti il Paese, ha la forza per trasmettere la vita, costruire e far crescere la nazione. Non dimentichiamoci delle donne che sono in prima linea dello sviluppo umano e spirituale».
L’ultimo atto è il saluto ai leader di diversi paesi e organizzazioni del Pacifico, tra cui il Primo ministro di Vanuatu, il presidente di Nauru, il primo ministro del Regno di Tonga e il segretario generale del Pacific Islands Forum Secretariat. Isole sì, ma tutte collegate dai comuni problemi