Il Messaggero, 8 settembre 2024
Meloni: «Il caso Sangiulino non indebolirà il governo»
«È morto il re, viva il re». Senza il cinismo che fu della monarchia francese Giorgia Meloni prova a liquidare con una battuta la settimana di fibrillazioni governative che ha portato alla dimissioni dal Collegio Romano di Gennaro Sangiuliano, «per una vicenda privata» che non avrebbe dovuto oscurare «la sua vita pubblica». «Intendo fare il mio lavoro, farlo bene e farlo fino alla fine della legislatura» scandisce la premier da Cernobbio, non proprio la meno aristocratica delle località italiane. Il cambiamento però, si sa, è spesso cosa difficile da digerire. E allora ai tentativi di parlare di ciò «che non comunichiamo bene» come i dati macroeconomici che per Meloni premiano il governo, la premier alterna scariche di adrenalina che testimoniano la voglia di andare avanti e qualche affondo da leader politica indispettita. «Se qualcuno pensa che situazioni come questa possano indebolire il governo non accadrà» rassicura nel corso dell’attesa prima intervista post-avvicendamento ministeriale. Meloni liquida Boccia definendola «questa persona» e specifica di non voler aprire un botta e risposta con l’imprenditrice pompeiana. Lancia il suo messaggio («la mia idea su come una donna debba guadagnarsi il suo spazio nella società è diametralmente opposta da quella di questa persona»), ma poi rispetto alla replica di Maria Rosaria («vedo una donna pronta allo scontro»), ovviamente, non replica oltre.Capitolo chiuso, più o meno. Ci saranno, forse, gli strascichi giudiziari dovuti ai vari esposti presentati (quello dei Verdi) o che arriveranno (quello dello stesso Sangiuliano). Quest’ultima, del resto, è la motivazione che ha spinto una Meloni convinta che «non vi siano illeciti» ad «accettare», infine, le dimissioni: «voleva liberarsi dalla condizione di ministro per difendersi meglio, perché capiva che il ruolo del governo non poteva continuare a essere sottoposto a questa pressione mediatica». Ora però l’intenzione della premier è molto chiara: voltare pagina, guardare oltre, occuparsi delle reali emergenze del Paese, manovra su tutte.L’ECONOMIADeposti i guantoni, allora, Meloni coglie l’insofferenza della platea composta da top-manager e imprenditori e, sul palco di Villa d’Este raggiunto prima di volare a Parigi dagli atleti paralimpici azzurri, sposta l’asse dell’intervista condotta dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana verso la politica economica del suo esecutivo. Quello che intende fare, da adesso in avanti. Di lavoro ce n’è tanto da fare e, dal punto di vista della premier, si sono già perse troppe energie.Aggirate le domande sulla poltrona che occuperà l’uscente Raffaele Fitto a Bruxelles o sul ministro che invece ne prenderà il posto a Roma, la premier punta su «politica e visione». Specie per quanto riguarda la competitività economica, della Penisola e del Vecchio Continente. In Europa «c’è un problema di competitività. Io mi ritrovo nella locuzione che dice “l’America innova, la Cina replica e l’Europa regolamenta"» sono le parole di una premier convinta che Bruxelles dovrebbe «regolare meno» e ambire ad un’autonomia strategica che le consenta di non trovarsi spiazzata in situazioni come quella che imporrà il novembre americano, tra Kamala Harris e Donald Trump. In ogni caso Meloni, dopo un «non lo so» che apriva a scenari di difficile immaginazione, tranquillizza gli astanti smontando le ricostruzioni di chi la vorrebbe ugualmente in difficoltà nel caso in cui la Casa Bianca torni al Tycoon o all’erede di Joe Biden: «Le grandi Nazioni non modificano i loro sistemi di alleanza». Una tranquillità che Meloni ostenta quando si parla della Legge di Bilancio che impegnerà il governo da qui a fine anno («Ci sono pochi soldi? Non s possono buttare. È finita la stagione dei bonus e delle risorse buttate. C’è la volontà di continuare a fare le cose confermando le misure che avevamo già») ma, per un attimo, nasconde ragionando dell’importanza della stabilità degli esecutivi. «Attualmente io guido il nono governo più longevo della storia d’Italia» dice sorridendo, «se arrivo a Natale sarò il sesto».Nessuna previsione funesta però, al limite una riflessione sul costo di questi avvicendamenti a palazzo Chigi in termini di «relazioni strategiche con i partner internazionali» o di «capacità di mettere le risorse sugli investimenti e non usare sempre la spesa per fare cassa sul piano elettorale». Un’abitudine, quest’ultima, che Meloni è convinta di aver messo definitivamente alle spalle della narrazione politica nostrana. Proprio come la vicenda Sangiuliano. Forse