Corriere della Sera, 8 settembre 2024
Mostra di Venezia 2024, vince Almodóvar, Kidman in lutto, gll altri premi
VENEZIA Vince l’eutanasia secondo Almodóvar. «Non c’è stata unanimità – dice la presidente della giuria Isabelle Huppert – Pedro ci è piaciuto per come tratta temi toccanti e commoventi, è un film filosofico che ci fa pensare a cosa significhi essere vivi. Il cinema è in gran forma, siamo fortunati, seduti su una sedia abbiamo il mondo davanti».
Era già tutto previsto, come cantava Cocciante 50 anni fa (la canzone è in Parthenope di Sorrentino, dunque restiamo in zona cinema). Non si poteva non dare il Leone d’oro a Pedro per The Room Next Door, il suo primo film girato in inglese, senza lacrime. È a Venezia per la terza volta in gara, e a parte il Leone d’oro alla carriera del 2019, vinse solo per la sceneggiatura di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, che gli aprì ogni porta.
L’Italia prende il Gran premio della giuria con Vermiglio di Maura Delpero, i soldati della Prima guerra al fronte e non si sente uno sparo in questo paesino abbarbicato sulla Val di Sole, in Trentino, dove tutti si conoscono, ma è una famiglia che avrà la guerra in sé: «Senza fondi pubblici non avrei potuto usare il dialetto, che fa paura al botteghino».
Migliore attrice Nicole Kidman in Babygirl. La star ieri ha perso sua madre e ha mandato un messaggio sul suo «cuore a pezzi»; nel film ha il coraggio di mettere a nudo le fantasie erotiche proibite, storia sadomaso sui desideri più intimi di una bella donna di mezz’età, sfogati su un ragazzo per cui ha un’attrazione magnetica.
Miglior attore Vincent Lindon per The Quiet Son: padre vedovo, due figli adolescenti, il maggiore imbocca la strada di gruppi di estrema destra.
Migliore regia a The Brutalist, affresco visionario dell’americano Bradley Corbet, che si batte «per un mondo senza confini», una maturità sorprendente per i suoi 36 anni, tre ore e mezza inchiodati sulla sedia seguendo Adrien Brody, ebreo ungherese emigrato negli Stati Uniti nel 1947, corroso dall’inquietudine, squattrinato architetto assunto da un riccone, licenziato e riassunto per un progetto faraonico dove si accolgono persone di ogni nazionalità e religione.
Soltanto sceneggiatura (Murilo Hauser e Heitor Lorega) per Ainda Estou Aqui di Walter Salles: la dittatura brasiliana degli anni Settanta vista con gli occhi di una moglie, la splendida Fernanda Torres, il cui marito ex deputato (è una storia vera) viene prelevato da casa e sparisce nel nulla. Premio speciale della giuria a April di Dea Kulumbegashvili, che lo definisce «film femminista, sugli aborti clandestini».
Ci sono tre battute circolate a mo’ di tormentone. La prima: peccato per Joker, il film è un po’ così ma Phoenix è bravissimo. La seconda: mentre si vuol cambiare la narrazione audiovisiva, al Lido non poche opere hanno raccontato in chiave critica la destra e le sue derive totalitarie. La terza: se M-Il figlio del secolo (la serie Sky sull’ascesa di Mussolini) fosse stata in gara, avrebbe vinto a mani basse. E qui ci sono due «ma». Ma è una serie, non un film; ma la serialità ormai è «cinema cinema» e vi ricorrono i registi più illustri. Chissà, se il regolamento cambierà ancora (quest’anno i premi erano cumulabili), in maniera rivoluzionaria.
Si è conclusa l’edizione con una impressionante galleria di stelle internazionali. Commento generale: tanta America, forse troppa Italia (5 in gara su 21). Prima uscita pubblica del neo ministro alla Cultura Alessandro Giuli. Il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco con enfasi parla allo stesso modo del prosecco Conegliano (tra gli sponsor) e della libertà.
Al Lido è avvenuta una curiosa invasione di scoiattoli, presi a benvolere da tutti, promossi a mascotte del festival. Se la Berlinale ha il simbolo dell’orso, Venezia ha acquistato un animalino agile e astuto, con cui ha vinto per k.o. tecnico contro il rivale più potente di Cannes.