Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  settembre 07 Sabato calendario

Meloni non può sfuggire al tema dell’autonomia

Il vertice di maggioranza non ha alleviato le ambasce di Meloni. A legge di bilancio, jus scholae, carceri, giustizia, balneari, Europa, successione a Fitto, nomine si aggiunge il caso Sangiuliano. Lo tsunami mediatico e in specie l’intervista di Boccia (La Stampa)lo rilanciano verso prospettive – anche non immediate – di dimissioni e rimpasto. Si può capire che sull’autonomia differenziata (Ad) la premier tentiun esorcismo.
In una intervista televisiva Meloni vorrebbe infatti tenere a distanza di sicurezza l’Ad con due affermazioni. La prima, che è opera del centrosinistra. Lo sappiamo, è stato un errore, di cui – dopo quasi un quarto di secolo – va evitato il danno. Ne ho già scritto su queste pagine. Chi nel centrosinistra richiama oggi acriticamente la riforma del Titolo V è come il detrito dell’esondazione di un fiume che si ritira. La seconda, che l’Ad non spacca l’Italia, ma la riunifica. Parole di assoluta e vuota banalità. L’esorcismo di Meloni fallirà, e l’Ad continuerà a infestare Palazzo Chigi. Per la Lega delle origini è in gioco la sopravvivenza, in specie dopo l’arrivo di Vannacci. Non per caso i pesi massimi leghisti avviano una campagna mediatica per l’Ad. Zaia rende pubblica lasua lettera al presidente Cei Zuppi in cui offre per leggere e capire l’aiuto dei suoi tecnici. Sono componenti della delegazione trattante veneta, tra cui la presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard Elena D’Orlando. Una garanzia. E la competizione per la presidenza del Veneto – cui guarda Meloni–– avrà certol’Ad tra le questioni prioritarie.
Conta allora che la legge Calderoli attribuisca un ruolo dominante allo stesso ministro (86/2024, art. 2). Acquisisce gli atti di iniziativa delle regioni ed entro 60 giorni le “valutazioni” dei ministri competenti per materia e del ministro per l’economia. Nessuna codecisione. Se le “valutazioni” non pervengono entro il termine, il negoziato si avvia comunque. In sintesi, se un Tajani o un Musumeci dicono no o tacciono, Calderoli può negoziare tal quale. Le Camere e la Conferenza Stato-Regioni sono informate – niente di più – sulle iniziative. A Calderoli spetta poi proporre al Consiglio dei ministri uno “schema di intesa preliminare” con la regione. Meloni non può fuggire. Il negoziato con Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria avrà inizio tra fine settembre e inizio ottobre. Meloni può limitarlo (art. 2.2). Lo farà? Calderoli afferma che lo ha invece autorizzato a trattare. Spetta alle opposizioni far emergere nei prossimi mesi il ruolo di tutti gli attori.
Nel frattempo, si avviano le procedure per la Consulta. Qui il punto è che le carte giuridiche sono gestite nel giudizio dall’Avvocatura dello Stato, ma nella regia non manca la voce della Presidenza del consiglio. È in ultima analisi sul tavolo di Meloni la decisione su quel che l’Avvocatura, pur nella sua autonomia, dice o non dice. E Meloni ne risponde, su due punti. Il primo: il quesito referendario. Si argomenta per l’inammissibilità dal collegamento al bilancio e dal contenuto disomogeneo della legge 86/2024 oggetto del quesito. Elementi negati dai referendari. Sosterrà il governo in Corte che basti un collegamento strumentale e fittizio con il bilancio dichiarato dall’esecutivo, o la molteplicità di contenuti tipicamente propria di qualunque legge, a privare il popolo sovrano del diritto al voto referendario? Svuotando così di significato l’art. 75 della Costituzione? Certo, si può argomentare che l’inammissibilità viene dalla pregressa giurisprudenza della Corte. Ma questo non rende irrilevante cosa il governo chiede alla Corte, e come.
Il secondo: la costituzionalità della legge Calderoli. I ricorsi delle regioni pongono su ogni parte del testo ineludibili domande, sulle quali Palazzo Chigi – tramite l’Avvocatura – dovrà pronunciarsi. Un vantaggio dei ricorsi rispetto al quesito referendario è la possibilità di un attacco che non punta a una singola risposta. Si sosterrà che è conforme a Costituzione il trasferimento di funzioni in 23 materie, senza valutazione dell’impatto potenzialmente negativo su altre regioni e sul paese? Che sono conformi i Lep determinati, ma non finanziati né erogati? Che è conforme la norma transitoria che concede un vantaggio ad alcune regioni rispetto ad altre? Queste e molte altre domande sono poste alla Corte. Alcune regioni ricorrono e altre – come il Veneto –si oppongono al ricorso. Qualunque posizione della Presidenza del consiglio sarà inevitabilmente di parte. E potranno la saggezza e il self-restraint della Corte giungere a impedire il referendum e ad un tempo rigettare integralmente tutti i ricorsi? Meloni non ha capito che Calderoli andava frenato molto prima. Ha sbagliato, ma niente scuse, in specie televisive. Non fiori, ma opere di bene.