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 2024  settembre 07 Sabato calendario

Pure il sesso non dà brividi a Venezia

Comencini con papà, fantasmi mafiosi, istruzioni per il sesso e divieto di dissenso: questa sera il verdetto di Venezia 81, chi la spunterà tra Almodóvar e The Brutalist?
Era mio padre.
Il tempo che ci vuole o, meglio, “prima la vita, poi il cinema”. Francesca Comencini fa infine il suo intenso primo film, quello che aveva promesso al padre, Luigi, ricevendone cortese rimbalzo: “Non lo vedrò”. Anni e anni dopo, porta sullo schermo la vita, e la Settima Arte, che fu: Pinocchio, l’eroina, Parigi, di due, padre (Fabrizio Gifuni, bravo) e figlia (Romana Maggiora Vergano), un’opera accorata e fragile, emozionata e ondivaga, Fuori Concorso a Venezia 81 e dal 26 settembre in sala. “Volevo estendere il discorso sulla relazione universale padre-figlia, fondante per qualunque bambina, poi donna”, e Comencini ammette: “Sicuramente ho disubbidito a papà – nel film l’uomo asserisce di non aver mai parlato di se stesso nei suoi lavori, ndr – ma era l’unico modo per rendergli omaggio”.

Iddu Ghost Story. 
Iddu, ovvero Matteo Messina Denaro. Premio Carlo Lizzani, Antonio Piazza e Fabio Grassadonia ne fanno un fantasma “visualizzabile”, muovendo dall’imperativo poetico dell’incipit: la realtà è un punto di partenza, non una destinazione. Succede che Matteo, Elio Germano e Catello, Toni Servillo, il boss e il politico ci traghettino tra finzione e (messa all’)incanto di una terra che premia, con l’Ecclesiaste, “chi ancora non è nato, perché ancora non ha visto tutto il male che si fa sotto il sole”. Il mafioso non più ragazzino, il suo padrino ex di tutto, e perfino di carcere, che si ritrovano, ehm, sotto lo stesso sole, congiunti dalle mire catturandi – ma poi davvero? – dei Servizi: picaresco o poliziesco, liminare o subliminale, cos’è il perfettibile e fascinoso Iddu in Concorso? Rinnovando il secondo lungometraggio Sicilian Ghost Story, Piazza e Grassadonia assemblano commedia dell’arte, detection pirandelliana, compendio antropologico, messa in scena – e in o-sceno rispetto ai cascami del Neorealismo – predittiva e veridittiva: siamo un Paese, politica in testa (“Il film non ha ricevuto alcun finanziamento pubblico”), al di sotto di ogni sospetto.
L’Ikea del sesso.
Capitolo intermedio della trilogia sulla sessualità istruita dal norvegese Dag Joahn Haugerud, Kiaerlighet, ossia Love, sta al sesso, e alla vita, come la svedese Ikea all’arredamento: tutte le istruzioni del caso – sul montare non infieriamo – e più non dimandare. Ma il cinema non è mobilio: ci si annoia terribilmente di questi fiumi di parole, del pelo pubico spaccato in quattro, di filarini e scopatine per Oslo e dintorni che vorrebbero saccentemente e didascalicamente sintetizzare orientamento sessuale, dignità di genere e altre evenienze sotto la cintola. La dottoressa Marianne e l’infermiere Tor sperimentano a geometrie variabili l’occasionalità del desiderio e il baluginio del sentimento, trovando nel percorso maglioni tarmati, Birkenstock afrodisiache e cateteri amorosi: senza senso in Concorso, un involontario peana alla castità.
Kitano (e chitemmuort).
C’era una volta, ahinoi sempre più remota, il Takeshi Kitano del Leone d’Oro Hana-bi (1997) e altre sontuose opere: ritirato dalla grandezza e aduso all’autofiction più o meno volontaria, il cineasta nipponico si muove da epigono di se stesso, chiedendo al meta-cinema e all’autoironia di indorare la pillola – che di film nemmeno si può parlare. Con Broken Rage, che tratta lo stesso canovaccio prima in chiave poliziesca e poi comica, annovera spari e slapstick, yakuza e sbirri, nonsense e cute. Lo sbigottimento critico vorrebbe il sopravvento, invece alla proiezione stampa si ride tanto scompostamente quanto forzatamente: lontani i tempi dei fischi, dei distinguo e del rumoreggiare, oggi pure peti e lazzi troverebbero applausi a scena aperta. Il belato invero preoccupa: l’assenza di dissenso in questo festival, come altrove, è un’emergenza democratica.
TotoLeone.
Chi vince Venezia 81? Se fuori Concorso il pigliatutto è l’affaire Boccia-Sangiuliano, capace di rinverdire al contempo telefoni rosa e commedia all’italiana, Bombolo e cinepanettone, per il Leone la partita è aperta, perché l’inarrivabile serie M – Il figlio del secolo non compete: detto che la qualità non è eccelsa, anzi, primeggerà il lacrimevole e terminale The Room Next Door di Almodóvar o il lusinghiero ma sionista The Brutalist di Brady Corbet? La riserva della repubblica è il brasiliano Walter Salles con I’m Still Here, l’outsider di – letterale – lusso è Luca Guadagnino con Queer: dirimerà la giuria presieduta da Isabelle Huppert, che sui propri colleghi ha l’imbarazzo della scelta. Tra gli attori, Adrien Brody (The Brutalist), Joaquin Phoenix (Joker: Folie à deux), Vincent Lindon (Jouer avec le feu) e Daniel Craig (Queer); tra le attrici, Nicole Kidman (Babygirl), Tilda Swinton e/o Julianne Moore (The Room Next Door), Fernanda Torres (I’m Still Here).
E l’Italia? La speranza è soprattutto nel manico: il giurato Peppuccio Tornatore, che potrebbe far convergere i sodali su Vermiglio di Maura Delpero, il migliore dei nostri. Per quale riconoscimento? Se il quarto proverbialmente venisse da sé, dopo Sorrentino (2021), Guadagnino (2022) e Garrone (2023), il paio Leone d’Argento e premio Mastroianni all’interprete emergente, per cui pure è attrezzato ancora Guadagnino.