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 2024  settembre 07 Sabato calendario

Cari russi, ora vi racconto perché vi amo

Buongiorno, grazie dell’invito, sono molto contento di essere qua a Mosca.
Siamo qua a parlare di traduzione, e io ho tradotto diversi autori russi, Puškin, Gogol’, Lermontov, Turgenev, Gon’arov, Leskov, Dostoevskij, Tolstoj, ČCechov, Chlebnikov, Bulgakov, Charms, i fratelli Strugackij e Venedikt Erofeev, del quale ho tradotto il romanzo Mosca-Petuškij, che è stata, probabilmente, la più difficile traduzione che io abbia mai fatto. E, in Mosca-Petuški, la parola probabilmente più difficile da tradurre è parola Pochmel’e, che indica la condizione in cui ci si trova il giorno dopo essersi ubriacati.
Si potrebbe pensare che una traduzione corretta di Pochmel’e sia postumi, ma postumi, in russo si dice poslédstvija, e, se si va a vedere sul dizionario bilingue, postumi sono: i postumi di una polmonite e i postumi di una crisi di governo.
Postumi è una parola paramedica, farmaceutica, o, al massimo, parlamentare, niente a che vedere con la vitalità di pochmel’e, e, oltretutto, da postumi non derivano dei verbi come il verbo che deriva da pochmel’e che è opochmelit’sja, cioè bere un po’ per riprendersi dall’ubriacatura del giorno prima.
Anche questa è una pratica antichissima, in Russia, attestata nel racconto La notte prima di Natale, di Nikolaj Gogol’, del 1831, dove il protagonista lancia a un suo nemico questa maledizione: “Che tu, cane, non riesca a trovare, il mattino quando ti svegli, neanche un bicchierino di vodka!”. Vale a dire: che tu non possa Opochmelit’sja.
Opochmelit’sja, forse, è anche peggio di pochmel’e. Una volta, all’inizio degli anni Duemila, ero a San Pietroburgo, una donna che era seduta su una panchina si era alzata, si era diretta verso di me con una mano tesa e, quando era arrivata a incrociarmi mi aveva allungato la mano sotto il naso e mi aveva detto: “Štòby opochmélit’sja”.
Che, tradotto, sarebbe così: “Mi darebbe per cortesia qualche rublo per comprare qualcosa da bere in modo che mi passi la fastidiosa sensazione di cui sono vittima oggi, dovuta al fatto che ieri ho bevuto un po’ troppo?”.
Due parole: “Štòby opochmélit’sja”. Intraducibile. E io l’ho tradotto.
Il mestiere che facciamo noi, traduttori, è un mestiere impossibile, ma noi lo facciamo, e la letteratura, quand’è potente, come nel caso di Mosca-Petuški, è così potente che regge perfino le nostre misere traduzioni: tradurre Mosca-Petuški è impossibile, io l’ho tradotto, e i lettori italiani l’hanno perfino capito.
C’è invece una cosa, che non sono sicuro di essere in grado di tradurre, e che ha a che fare con il motivo per cui sono qua. Io faccio, da qualche anno, una lettura nella quale racconto il mio rapporto con la Russia e con i russi, si intitola A cosa servono i russi.
In questo testo dico, tra le altre cose, che a me piacciono due cose che fanno piangere: la letteratura russa e le partite del Parma; io sono nato a Parma e sono tifoso del Parma, e racconto che in marzo del 2022, una brutta annata per il Parma, ero allo stadio, perdevamo, la mia vicina di posto era arrabbiata, se l’è presa con gli arbitri, gli ha gridato “Da dove venite, dalla Russia? Siete dei delinquenti come loro!”.
Questa idea che i russi sono un po’ tutti dei delinquenti dal febbraio del 2022 è abbastanza diffusa, in Occidente, e anche in Italia. Io so che non è così. E lo racconto. Quel che ho fatto, in Italia, in questi anni, è dire che essere un russo non è una colpa. Voi potreste pensare che non ce ne sia bisogno, invece io credo che ce ne sia bisogno, purtroppo.
Quando leggo A cosa servono i russi, alla fine succede che dei russi che sono in Italia mi vengono a ringraziare.
Una sera ero a Terni, mi si sono avvicinate delle signore russe e mi hanno detto le cose e dopo di loro è venuta una donna italiana, avrà avuto 35 anni e mi ha detto “guardi, io non so il russo, non conosco la letteratura russa, ma le cose che lei ha detto stasera mi sembra di capirle perché ho adottato un bambino russo, e le assicuro, in questi due anni, gli hanno fatto sentire il fatto di essere nato in Russia come una colpa, l’hanno fatto sentire in colpa anche lui, un bambino che non ha fatto niente”.
Venedikt Erofeev ha scritto: “Ci sono lingue nelle quali non esistono parole e espressioni offensive, e neanche indecenti. Per i malesi, per esempio, l’offesa e l’ingiuria più grande è: ‘Non hai vergogna?’”.
Credo che noi, in Italia, quando ci comportiamo così, dovremmo avere vergogna. Anch’io, che, devo dire, non mi comporto così ma, delle volte, mi comporto in modo opposto. Cioè oggi, per esempio, sono venuto qui da Bologna, dove vivo, via Istanbul, per parlare dieci minuti, sono arrivato ieri notte e riparto stanotte; se mi avessero invitato negli Stati Uniti a fare una cosa del genere, gli avrei detto “col culo, che vengo”. Invece quando mi avete invitato voi ho detto “molto volentieri”.
Gli ultimi romanzi che ho scritto sono su Dostoevskij e su Anna Achmatova, e li stanno traducendo in russo, però, siccome quello sull’Achmatova l’ho scritto nel 2022, quando era già cominciata la guerra in Ucraina, per pubblicarlo mi han chiesto il permesso di tagliare dei pezzi, di censurarlo, di cambiare delle parole, per esempio ogni volta che io scrivo “guerra” di poter tradurre “operazione speciale”, e il capitolo intitolato “Guerra” di intitolarlo “Tempi difficili”.
Se mi avesse proposto una cosa del genere un editore, non so, inglese, io gli avrei risposto “nemmeno per idea”. Invece me l’ha chiesto un editore russo, e io ho chiesto solo che il romanzo fosse preceduto da questa nota dell’autore: “Sono molto contento che il mio romanzo sia pubblicato in russo”.
Tuttavia, voglio che i lettori russi sappiano che la versione che troveranno qui non è identica all’originale. Ci sono delle cose che, secondo la legge russa, non possono essere pubblicate così come le ho scritte.
Mi viene da chiedermi: perché vi dico sempre di sì? In Italia qualcuno pensa che a me piaccia il vostro governo, si sbagliano, il vostro governo non mi piace, non mi piace nemmeno il nostro, quello italiano, ma io non parlo dei governi, parlo di voi: a me piacete voi, cioè il popolo russo. Perché voi russi avete un modo di stare al mondo, un modo di aiutarvi tra di voi, un modo di dirvi quanto vi volete bene, una capacità di manifestare i vostri sentimenti, che noi, in Occidente, ce la sogniamo.
Forse questa cosa che io vedo in voi è simile a quello che Dostoevskij, nel suo discorso su Puškin, chiama otzyvčivòst’, cioè la disponibilità a aiutare; ma Dostoevskij, se non ho capito male, parla della disponibilità dei russi di aiutare gli altri popoli (che, forse, non desiderano essere aiutati dai russi, non tutti, perlomeno), io intendo la disponibilità dei russi di aiutarsi tra loro, e dati i governi che si sono succeduti in Russia in questi ultimi secoli, ce n’è stato molto bisogno.
Mi viene in mente la zia di Sergej Dovlatov, Margarita Dovlatova, che è stata correttrice di bozze, redattrice e poi segretaria editoriale, e ha lavorato con molti scrittori celebri, tra i quali Michail Zošcenko, e una volta, dopo che Zošcenko era stato escluso dall’unione degli scrittori e era finito in disgrazia, ha incontrato Zošcenko per strada, e Zošcenko ha fatto finta di non vederla, e la zia di Dovlatov l’ha seguito e gli ha chiesto: “Perché non mi avete salutato?”. E lui ha sorriso e le ha detto: “Mi scusi. Aiuto gli amici a non salutarmi”.
Ecco, io sarò ingenuo ma questa è una frase che mi commuove.
Ma forse non sono ingenuo sono solo innamorato: io sono innamorato della vostra arte straordinaria, della vostra lingua straordinaria, del vostro straordinario modo di stare al mondo, del vostro straordinario modo di fare fatica, insieme e, forse, è questo amore inspiegabile, incomprensibile per chi non è mai stato qua, in Russia, forse è questa, la cosa più difficile da tradurre in italiano.
Grazie.