la Repubblica, 7 settembre 2024
Francesca Comencini ha fatto un film su Luigi Comencini
Un padre e una figlia. La fragilità di un genitore che invecchia, le bugie e il buio di un’adolescenza perduta nella droga e ritrovata grazie alla cura tenace di chi ti ha dato la vita e lotta per aiutarti a riprenderla in mano. La necessità del fallimento, la disubbidienza artistica, l’amore. Francesca Comencini commuove la Mostra con Il tempo che ci vuole, (fuori concorso, in sala il 26 settembre con 01), «una lettera d’amore» al padre Luigi e al cinema, il set gioioso diPinocchio e la Parigi da cui parte il percorso di rinascita. La regista affida a Fabrizio Gifuni il ruolo del padre, a Romana Maggiora Vergano quello di sé stessa.Che significa essere a Venezia con questo film?«Un grande onore e un cerchio che si chiude, sono stata tante volte qui da piccola con mio padre e con il mio primo film. Significa anche portare ancora il ricordo, la presenza di papà».Perché è stato importante farlo ora?«Era il film che volevo da una vita. L’ho scritto durante la pandemia. C’è voluto tempo per riuscire a rendere omaggio a una persona così importante per me e per il cinema italiano. Sentirsi maturi, sul fronte artistico e umano, aver lavorato sulle cose».Il grande insegnamento di suo padre nel film è “la vita viene prima del cinema”.«Ed è paradossale, detto da chi ha fatto del cinema la sua vita. Perché non solo è stato regista, ma critico cinematografico. Da ragazzo ha salvato decine e decine di copie di film muti, li conservava in camera sua. Su questo nucleo è stata fondata la Cineteca di Milano. Il cinema era tutta la sua vita, ma la vita degli altri veniva prima e andava rispettata. E questo nutriva il suo cinema».Cosa scopriranno di nuovo gli spettatori?«Che è stato coraggioso. Di fronte ai problemi anche gravi di una figlia non si è tirato indietro, non l’ha giudicata. E volevo ricordare il suoPinocchio,un progetto che per me è stato come un sogno. Avevo sette anni e vedevo la favola fabbricarsi sotto gli occhi. Lo è stato per molte generazioni».Nel fil m c’è la sua storia personale, gli anni della dipendenza dalla droga. Non era facile raccontarlo.«Non è facile mettersi a nudo, ma ho elaborato quel vissuto. Racconto la mia dipendenza dalle sostanze, il momento in cui mio padre mi è stato d’aiuto senza giudizio, con grande severità, fermezza e forza. Perché non c’è uno stigma: può capitare a tutti, nella vita. Non bisogna vergognarsi, ma bisogna rimanere saldi, andare avanti e che sipuò uscirne. Fallire fa parte della vita. Fallire ancora, fallire meglio. In un’epoca in cui siamo tutti paralizzati dal dover essere efficienti, perfetti, è importante ribadirlo».Un padre, una figlia, due registi molto diversi.«Sì, da regista gli ho disubbidito, anche facendo questo film. Mio padre odiava i film autobiografici e io ne ho fatti alcuni. Ne valsa la pena».La memoria più forte?«Sul set di Pinocchio: percepivo la sua felicità, perché anche lui aveva aspettato tanti anni per realizzarlo. Ero forse gelosa del fatto che lavorasse con un altro bambino, lo seguivo. Ma percepivo il suo stato di grazia, che ancora mi accompagna».Lei si mette in scena bimba sul set, paralizzata dalla bellezza del Paese dei Balocchi.«Ricordo perfettamente la sensazione fisica, non respiravo per la meraviglia, l’emozione. È stato difficile girare quella scena, temevo di non ricostruire la potenza di quel momento».Non ha mai pensato di fare l’attrice?«Sarei stata negata, mio padre mi ha trasmesso l’essere schivi, due passi indietro piuttosto che avanti».Le sue sorelle? Paola ha partecipato al film.«Tutte sono state coinvolte. Ho scritto basandomi sul teatro sempre aperto della mia memoria, mettendo però un cono di luce, potenziando e condensando, alcuni ricordi. Paola, con la sua generosità, ha realizzato la scenografia, Cristina, grandissima collega e sorella adorata, mi ha sostenuto fin dall’inizio, ha visto il film. E così Eleonora. Hanno capito l’importanza che aveva per me. Noi siamo l’una la forza dell’altra, siamo diverse e libere di dirci tutto. Mi hanno detto “sì, papà è stato questo con te e un po’ anche con noi”».Il regista Luigi Comencini è ricordato abbastanza?«Mi pare che sia stato un po’ dimenticato, spero che il film contribuisca al suo ricordo. Nell’epoca benedetta del cinema italiano è stata una delle voci che lo hanno reso forte».