Corriere della Sera, 7 settembre 2024
Ascesa e caduta di Gennaro Sangiuliano
La sua vera incompiuta, sempre che non decida di continuare a metterci mano anche adesso che però è tardi, tremendamente troppo tardi, è l’opera in cui aveva deciso di raccogliere «tutte le gaffe dei politici di sinistra passate sotto silenzio negli ultimi anni» di cui aveva parlato agli amici più stretti, raccontando tra l’altro di avere già un’idea della casa editrice. E a rendere beffardo il tutto, più ancora del fatto che lo scopo di fondo del pamphlet è ormai inservibile, è che tutti i suoi interlocutori gli avessero consigliato di lasciar perdere, di non pensarci proprio, ché non era il caso. Tutti tranne una: Maria Rosaria Boccia, la donna che con la sola potenza dello smartphone l’ha spinto fuori dall’uscio ministeriale sognato da una vita. «Ma certo che lo deve fare, quel libro!», diceva a luglio nell’ormai celebre trasferta di Polignano a Mare di fronte a diversi testimoni. Da allora sono passati due mesi. Gennaro Sangiuliano era ministro dei Beni Culturali, e da ieri non lo è più. La dottoressa Boccia era la sua consulente in pectore per i Grandi eventi, e non lo è mai diventata.
Adesso però che c’è da tirare le somme su quello che è stato e che sarà, che poteva essere e che non sarà più, a «Genny», come l’hanno sempre affettuosamente chiamato gli amici, rimarranno una ferita aperta e una magra consolazione. La ferita aperta rimanda al miraggio della «fine dell’egemonia culturale della sinistra», la regola d’ingaggio per cui Giorgia Meloni l’aveva voluto nella squadra di governo, una rivoluzione che se mai un giorno venisse raggiunta non avrebbe mica la sua firma in calce. La magra consolazione, se è vero – come disse mesi fa facendo confusione tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti – che «quando uno pensa a Parigi pensa agli Champs-Élysées e quando pensa a Londra pensa a Times Square», è che per qualche tempo sarà impossibile ascoltare il nome di Pompei senza pensare alla sua personale, di rovina.
In fondo, per raccontare l’inesorabile e repentina discesa della parabola istituzionale e anche politica di Sangiuliano possono funzionare le parole consegnate da Plinio il giovane a Tacito sull’eruzione del Vesuvio che aveva distrutto Pompei, la città della sua grande accusatrice, nel 79 dopo Cristo. «Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna…». Ecco, la slavina politico sentimentale che ha travolto l’ex ministro è partita all’improvviso e ha distrutto tutto. Tranne, forse, quell’anticomunismo viscerale che ha portato da sempre «Genny» a vedere marxisti leninisti e pugni chiusi quasi ovunque, molto di più di Berlusconi, lasciandolo evidentemente libero di esplorare tutti gli angoli di quel «quasi»: il Movimento sociale italiano, scoperto da ragazzino insieme alla militanza nel Fuan (Fronte universitario di azione nazionale); il liberalismo studiato nei testi di Benedetto Croce ma praticato di fatto con la cellula napoletana del Partito liberale italiano guidata dall’allora ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, considerato il nume tutelare del periodico (Economy) in cui muove i suoi primi passi da giornalista; poi di nuovo a destra, con il nuovo conservatorismo post fascista all’italiana declinato dall’ideologo Pinuccio Tatarella, con cui arriva al Roma, e quindi Alleanza nazionale di Gianfranco Fini; poi l’area della Lega di Matteo Salvini, con cui fa gli scatti più importanti del cursus honorum in Rai, a cominciare dalla direzione del Tg2; infine Fratelli d’Italia, e la realizzazione del sogno di potersi consegnare alla storia patria come storico e letterato più che come giornalista, come ministro più che come direttore di testata.
La storia e la letteratura, in fin dei conti, alla fine l’hanno tradito, alimentando quel campionario di gaffe che qualche volta persino troppo ingenerosamente gli sono state rinfacciate da nemici e falsi amici. Quel Dante frettolosamente considerato «il fondatore del pensiero di destra italiano»; quel Galileo Galilei elevato a una sorta di navigatore satellitare ante litteram delle imprese di Cristoforo Colombo (peccato fosse nato un secolo dopo); quei libri finalisti all’edizione del 2023 del premio Strega che confessò, di fronte a un’attonita Geppi Cucciari, di non aver letto nonostante fosse in giuria; quei due secoli e mezzo dalla fondazione della sua Napoli che il suo account personale su Instagram celebrò, sbagliando il calcolo giusto di un paio di millenni abbondanti. Per quest’ultimo errore, a onor del vero, era stato incolpato il suo social media manager, di cui aveva accettato le dimissioni salvo poi ripensarci. Ma nessuno, proprio nessuno, avrebbe mai potuto immaginare che un mese dopo tra i due, il ministro e il social media manager, al ministero dei Beni Culturali sarebbe rimasto soltanto il secondo.