Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  settembre 07 Sabato calendario

Biografia di Alessandro Giuli

Il nuovo titolare del ministero della Cultura è dunque Alessandro Giuli, romano, classe 1975, una moglie e due figli, giornalista e scrittore, dal novembre 2022 alla presidenza del Maxxi, il Museo nazionale delle arti del XX secolo. Il suo cuore politico da sempre batte, esplicitamente e anche con orgoglio, a destra. Da ragazzo si è iscritto a 14 anni al Fronte della Gioventù e poi ha militato in «Meridiano Zero», un movimento della destra nato nel 1991. 
Studi universitari in Filosofia, ha cominciato la sua carriera giornalistica a Il Foglio: uno tra le ragazze e i ragazzi della nuova generazione allevati da Giuliano Ferrara. E proprio del Foglio è stato prima vicedirettore (2008) e poi condirettore (fino al 2017). Il libro che lo ha collocato tra gli intellettuali della nuova generazione della destra italiana è stato Il passo delle oche. L’identità irrisolta dei postfascisti(Einaudi, 2007) che aprì a destra un ampio dibattito per il suo modo di raccontare i fermenti del postfascismo italiano senza mitizzazioni e senza sconti. 
Fra 2019 e 2020 è stato ospite fisso della trasmissione Patriae condotta da Annalisa Bruchi su Rai 2. Nel 2020 ha condotto con Francesca Fagnani Seconda linea su Rai 2. Da tempo è con continuità ospite di molti talk show. Recentissimo il suo saggio Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea (Rizzoli, 2024). 
Nel giugno scorso aveva definito, intervenendo su La7, «pozzanghere che vanno asciugate al sole» le sequenze delle riunioni di Gioventù nazionale svelate da Fanpage, col loro armamentario razzista, antisemita e filonazista. In una successiva intervista al Corriere della Seraaveva chiarito così il suo pensiero: «Io credo davvero che il fascismo sia stato una tempesta di acciaio, fuoco e fango che, nel dopoguerra, si è condensata in una serie di pozzanghere mai del tutto prosciugate. Ci si può gettare voluttuosamente dentro, si può prendere a calci il fango, ma ci si sporca. L’unico modo è farle evaporare alla luce del sole di una forma-partito che proponga un racconto politico alternativo e aggiornato ai tempi». Aveva valutato quella che aveva definito «la fascisteria» nel 2% dell’elettorato aggiungendo: «Ci sono voti che si contano: nostalgici, antisistema, populisti. E voti che pesano: il mondo internazionale che ci guarda, quello produttivo, ciò che compone il corpo elettorale di FdI. Si può tranquillamente rinunciare a quel 2%, con la sua inconsistenza antistorica e col tradimento che infligge a un partito liberalconservatore di massa quale è ora FdI, per passare dalla logica dei governati a quella dei governanti». 
Soprattutto aveva reso un grande omaggio all’ebraismo italiano e a Liliana Segre: «Segre è l’Italia, rappresenta l’identità del nostro Paese composta grazie anche all’immenso apporto della cultura ebraica alla nostra storia, basti pensare da ultimo al Risorgimento e all’Unità d’Italia» 
Nel ritratto che Tommaso Labate gli ha dedicato il 7 maggio aveva così descritto le sue radici familiari: «Il nonno paterno ha iniziato il Ventennio con la Marcia su Roma e l’ha concluso a Salò. Papà sindacalista della Cisnal, iscritto al Msi, erede di una dinastia di proprietari terrieri marchigiani cresciuto nella convinzione che la Resistenza gli avesse rubato tutto... Per parte di mamma, totalmente un’altra storia. Il nonno materno ha fatto la Resistenza, mamma democristiana». 
E poi c’è la sua passione per Gramsci, così imprevedibile per un intellettuale della destra. L’ha spiegata a luglio sul settimanale 7: «È un libro per andare con Gramsci oltre Gramsci. Vittima di un regime brutale e al tempo stesso teorico di una dittatura, quella del proletariato. Però eterodosso, consapevole che non c’è politica senza cultura politica e non c’è cultura senza conoscenza profonda della società, delle tradizioni popolari, dei saperi marginali provenienti dai ceti subalterni così come della competenza delle burocrazie di carriera... Detto questo, nel mio Gramsci aleggia Giovanni Gentile». 
Giorgia Meloni, designandolo nuovo ministro della Cultura, gli ha assegnato una rotta chiara: «Proseguire l’azione di rilancio della cultura nazionale, consolidando quella discontinuità rispetto al passato che gli italiani ci hanno chiesto». Visto questo bagaglio culturale, c’è da giurare che lo farà.