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 2024  settembre 06 Venerdì calendario

Il giornalista Ormezzano parla di Sinner e altri

Li ha visti tutti, ma proprio tutti. E tutti li ha dipinti in quasi 70 anni di professione. Gianni Ormezzano, 90 anni suonati e 25 di Olimpiadi sempre in prima linea («Sono dispiaciutello per il mio giornalismo, quello dell’andare-vedere-raccontare. Non c’è più. Oggi scrivete davanti alla tv e da casa…») ci racconta il “suo” Sinner. Il tennista della porta accanto che sta accendendo le luci di New York. Lo fa mentre controlla le bozze di “Giochi di parole”, il libro che sta ultimando.
Ormezzano, lei ha vissuto da vicino e conosciuto i grandissimi dello sport: apprezza quello che sta combinando Sinner?
«Le dico la verità, non sono stato nella mia eterna vita di inviato un amante passionale del tennis perché non ho mai capito bene questo sport che, se giocato male, è di una noia pazzesca. Però se giocato da uno come Sinner diventa notevole».
Non ha mai seguito nella sua carriera le gesta di Pietrangeli o Panatta?
«Nicola è stato un mio grande amico. A Parigi ci siamo molto divertiti durante i Roland Garros che ha vinto, e ne ha vinti un paio. Ma quello era un tennis romantico. Oggi è scintillante forza, a volte bruta».
Nella sua personale classifica dei grandi sportivi italiani dove piazzerebbe Sinner?
«Il più grande di tutti è stato il mio amico fraterno e compagno di scuola Livio Berruti. L’oro nei 200 a Roma 1960 fu un evento che scosse la nazione. Jannik è in mezzo al gruppo di testa, lo ammiro. Quello che sta ottenendo a New York è immenso e ha soltanto 23 anni, a volte ce lo dimentichiamo».
Ha visto l’incontro con Medvedev?
«La notte dormo, ho un sacco di stent e un’eta ormai. Battuto il russo, però, penso che Jannik abbia un tabellone piuttosto sgombro dinanzi a sé, l’inglese di stasera non rappresenta un ostacolo insormontabile».
Per cosa lo ha stupito di più Jannik?
«Per la capacità di rimanere freddo e fermo nei suoi propositi morali durante i mesi dell’inchiesta doping».
Resta quindi un esempio? 
«Certo, è un personaggio positivo». 
Facciamo un gioco: a chi somiglia Siner per cultura del lavoro, voglia di migliorarsi sempre, costanza negli allenamenti che lo hanno fatto diventare numero 1?
«Il primo nome che mi viene in mente è quello di Mennea anche se Pietro era un po’ diverso, il suo era un vero e proprio fanatismo nel cercare la rivalutazione di un Sud negletto, non dimentichiamo che si definiva il Negro d’Italia. Sinner cerca la perfezione per migliorare i colpi che ritiene meno efficaci ma senza quella rabbia repressa».
La forza che mette nei colpi da fondo campo ne denotano una fisicità non comune. Come quella, ad esempio, di Alberto Tomba? 
«Alberto, che chiamai la Bomba, esprimeva forza bruta nelle sue discese. Direi che Sinner è al massimo quando in lui c’è sanità fisica».
Nello sport serve la cattiveria: quella di Jannik in alcuni momenti chiave dei match che contano le aveva già viste in qualcuno? Nel cannibale Eddy Merckx?
«Conobbi Eddy a inizio anni ’60 quando era ancora un ciclista dilettante, lui vinceva perché sentiva una responsabilità. Dio gli aveva detto: sei il più forte e quindi doveva dominare e non lasciava le briciole agli avversari. Soltanto Gimondi gli resisteva».
Jannik ci sembra un po’ più gentile, anche con gli avversari.
«Vedo che è apprezzato da quasi tutti i suoi colleghi e non è un campione rapper ma un ragazzo a modo. Questo è un altra conferma della sua positività, in campo e fuori».
Dote rara: chi le ricorda?
«Non protesta mai, non urla con gli arbitri, non sbraita. In questo non posso non citare Giacinto Facchetti».