Libero, 6 settembre 2024
L’avventura del libro nei secoli, aneddoti
Ne ha vissuti di triboli il libro prima di diventare definitivamente quella cosa tranquilla alla cui manifattura presiedono, oggi, l’autore, il correttore di bozze, il tipografo e stop. E ce ne sono voluti di secoli e di progressi e di inciampi perché assumesse le caratteristiche morfologiche attuali: un insieme di fogli stampati, delle stesse dimensioni, rilegati insieme in un certo ordine e racchiusi da una copertina.
Le storie che raccontano l’avventura del libro nei secoli sono tutte interessanti. Lo sono ancora di più quelle che lo fanno con toni ironici. Un registro narrativo che, ci scommetto, verrebbe apprezzato prima di tutti dagli alunni delle scuole di ogni ordine e grado. Provare per credere con questa brillante Breve storia umoristica del libro (Graphe.it Edizioni, 106 pagine, 9,50 euro) di Enrique Gallud Jardiel con traduzione di Fabiana Errico, un’epitome di aneddoti interessanti sulla comparsa e l’uso nel tempo degli alfabeti e della scrittura.
Sapevate per esempio che il rotolo di papiro piu antico che si conosce è datato al 2400 a.C. e che gli egittologi ci raccontano che è un compendio di barzellette sugli abitanti di Luxor (i carabinieri dell’epoca)?
PEZZI DI LEGNO
E che i primi libri dei cinesi erano di legno? Oddio, non sappiamo se sia corretto chiamare propriamente “libro” un pezzo di legno con iscrizioni, ma il caso vuole che gli imperatori cinesi esigessero dai loro cronisti dei racconti straordinari sia su di loro che sui regni che governavano, e i reporter dell’epoca non poterono fare altro che inventare le tavolette di legno, che si grattavano con uno stilo e una buona dose di fatica e sudore.
Carina anche questa dei greci le cui tremende tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide non solo si potevano vedere a teatro, ma si potevano anche leggere a casa, comodamente seduti sul sofà. Ebbene queste opere godevano di un tale prestigio che in molte occasioni si rimettevano in libertà quei prigionieri che sapevano recitarne a memoria dei frammenti. E se fossero stati in grado di ripetere senza errori la tavola pitagorica, gli si dava addirittura un premio in denaro o in schiave, a scelta.
I librai romani, pensate un po’, erano conosciuti come bibliopola e impiegavano per la trascrizione dei testi degli schiavi illuminati, i servi litterati, perché i nobili patrizi non si dedicavano a compiti tanto bassi. Questi schiavi copisti sapevano leggere molto meglio dei loro padroni e i testi che scrivevano si vendevano cari. Dal termine servi ad manum – schiavi che hanno l’incarico di copiare a mano – deriva la parola “amanuense”, che è quella che si impiegherà piu tardi nei monasteri medievali per riferirsi ai monaci dalla “verga piumata”.
E veniamo agli arabi cui va riconosciuta una eccellente abilità nella calligrafia, per cui andavano matti; tanto che scrivevano da tutte le parti, non solo nei libri. Riempivano di scritti calligrafici le pareti delle moschee, le lapidi delle tombe e la pancia degli orciuoli. Il fenomeno non meraviglia siccome l’amore di quel popolo e di quella cultura per tomi e volumi aveva un aspetto religioso.
Nel Medioevo molte opere antiche che non coincidevano neanche un po’ con la religione non solo non furono copiate, ma vennero spedite alle cucine, dove si bruciavano per risparmiare carbone. Qualcosa di simile accadde con i palinsesti, quando dei monaci ignoranti grattarono esemplari unici di opere eccezionali di Platone o Cicerone per fare inventari di quanti sacchi di patate e cipolle c’erano nella dispensa del monastero. La trasmissione della conoscenza si ridusse fondamentalmente ai testi sacri. Ma parliamo di alcune peculiarità di quest’attività dei copisti.
Per motivare i monaci scrittori – che si annoiavano a morte a lavorare su quei testi di cui gli importava ben poco – i superiori garantivano per ogni riga copiata il perdono di un peccato. L’escamotage funzionava molto bene come pungolo, perché se il monaco era veloce con il calamo e scriveva una buona porzione di righe al giorno, aveva poi un ampio margine di tempo per peccare come e quanto voleva, senza che Dio lo ammonisse.
IL RINASCIMENTO
E siamo al Rinascimento considerata l’Età dell’Oro rispetto ai cosiddetti secoli bui dell’Età di Mezzo. Età dell’Oro un corno. Sapevate, per dirne una, che alcuni sovrani di quel periodo come Enrico VIII e Edoardo VI, in nome dell’Umanesimo e del nuovo sapere, si misero sistematicamente a epurare e a bruciare i libri della vecchia tradizione medievale contro cui credevano di combattere? Chiudiamo con un paio di chicche. La prima riguarda quella che Gallud Jardiel chiama il libro “difettoso” di Archimede, il De sphaera et cylindro. Il più grande matematico e scienziato del mondo antico vi inserì una marea di errori con la deliberata volontà di confondere i suoi avversari e smascherare quelli che pretendevano di far passare questi postulati come loro. La seconda chicca è quella del libro più lungo mai scritto fino ad oggi: il Mahabhrata, un’epopea infinita stivata in un mucchio di volumi che raccontava di come alcuni principi si prendessero a sberle a vicenda e ogni frase iniziava con un “molla quel regno”. Ci vollero diversi secoli per scrivere quest’opera, una mappazza di duecentoventimila versi.