Linkiesta, 6 settembre 2024
Dalla parte degli infedeli
Per rendere chiaro quanto mi urti il sistema nervoso vedere gente maggiorenne e con titoli di studio e diritto di voto che, di fronte a ordinarissime vicende di accoppiamenti e disaccoppiamenti di gente di destra, si sente ficcante a commentare «e con la famiglia tradizionale ora come la mettiamo, eh», per darvi la misura della mia irritazione, vi dirò: stavo per ricopiarvi la voce “tradizione” del dizionario.
Stavo per didascalizzarvi che «il termine “tradizione” indica consuetudini e comportamenti caratteristici, tipici di un certo gruppo di persone. Le tradizioni sono spesso connesse all’identità di un gruppo e verso di esse si mostra in genere un certo attaccamento».
Come dimostrate voialtri ogni volta che passate il Natale coi parenti e poi ve ne pentite, o ogni volta che credete al coniuge che vi giura che cambierà e poi non cambia, o ogni volta che dite che stavolta vostro figlio non esce finché non mette a posto la stanza e poi neanche questa volta riuscite a farvi rispettare: se credessi nella psiche, direi che anche sabotare la propria serenità è una tradizione cui ci si attacca parecchio. Ma non sarò così scarsa da parlarvi della definizione di “tradizione”. Vi parlerò invece di mercoledì sera.
Mercoledì sera, mentre le peggiori menti della mia generazione affollavano i social coi loro strepiti sulla famiglia tradizionale tradita da Gennaro Sangiuliano, famiglia tradizionale che hanno sempre detto di aborrire ma di cui improvvisamente invocavano il rispetto, mercoledì sera io arrivavo in ritardo a una cena. Prima di passarla a riferire delle lacrime di Sangiuliano, a dire «Silvio non avrebbe mai sventolato ricevute di biglietti aerei», e a occuparci dell’allegro declino delle élite cui stiamo tutti assistendo, sono stata messa a parte di ciò di cui stavano chiacchierando i commensali al mio arrivo. Ovvero degli sviluppi della vita sentimentale di un nostro conoscente. Uno che non ha politicamente nulla a che spartire con Sangiuliano, ma ha in comune con lui l’essere un uomo italiano.
Omissis ha una moglie, dei figli, un cane: tutte cose. È arrivato ad avere tutto ciò con un percorso tradizionale. Stava tradizionalmente con una ragazza, e tradizionalmente l’ha tradita. Colei con cui l’ha tradita è tradizionalmente rimasta incinta e tradizionalmente ha deciso di tenere il frutto del peccato. È ciò che, tradizionalmente, hanno sempre fatto le donne che volevano un figlio prima di questi tempi moderni in cui ti fai riempire di punture per la fertilità, vai all’estero, scegli una banca del seme e ti fai impiantare un ovulo in paesi in cui tradizionalmente si possano sottoporre anche le zitelle a questa pratica alla quale in Italia tradizionalmente no.
Quindi la zitella di Omissis partorisce tradizionalmente questo bambino, e tradizionalmente vuole che lui lo riconosca. E lui a quel punto è costretto a fare una cosa che gli uomini tradizionalmente preferiscono evitare: dirlo alla fidanzata. La quale tradizionalmente non è contenta. Lui a quel punto – odiando colei che l’ha costretto a litigare con la fidanzata, essendo non abbastanza forte da strisciare ai piedi della fidanzata per farsi perdonare, ed essendo inoltre tradizionalmente incapace di stare solo – decide di metter su casa con una terza. Tradizionalmente assai giovane, tradizionalmente col culo sodo, tradizionalmente semianalfabeta.
Tradizionalmente, dura persino meno di quanto potesse durare tra Il vedovo Alberto Sordi e la bionda che voleva il visone. Un po’ di tempo dopo, con in repertorio conversativo tutte le sgrammaticature della ragazza presso cui s’era rifugiato, il nostro eroe tradizionale è pronto a supplicare la ex di riprenderselo, con pure l’aggravio del figlio illegittimo.
Lei se lo riprende come le donne, tradizionalmente, si riprendono gli uomini in difetto: adesso però mi sposi e facciamo dei figli non bastardi. Fanno tutto quel che devono fare, lei segue pure tradizionalmente lui in un’altra città adattandosi lavorativamente. Poi subentrano la noia, la routine, le solite tradizionali cose, lei incontra un papà fuori da scuola, e dopo un po’ arriva la tradizionale confessione femminile: ti ho tradito, non so cosa mi abbia preso.
Tradizionalmente lui, che – avrebbero detto i nostri nonni – ne ha fatte più di Carlo in Francia, non pensa che dopotutto lei era in credito, macché. La pianta istantaneamente e ciancia pure coi suoi amici, costretti ad aggiornarlo sul codice civile, di divorzio per colpa. Ci vuole un bel coraggio, diranno i miei piccoli lettori. Ma quel che Omissis fa è semplicemente rispettare la tradizione.
Tra tre settimane saranno cento anni dalla nascita di Marcello Mastroianni, che figliò con Catherine Deneuve, amò Faye Dunaway, morì al fianco di Anna Maria Tatò, e mai Flora smise d’essere la signora Mastroianni. Mai l’avrebbe cacciato di casa, mai l’avrebbe tradito: era quella, la tradizione italiana, fatta di corna maschili e sopportazioni femminili.
Poi certo, le tradizioni si aggiornano. Nel 1970 esce Dramma della gelosia, segno potente di tradizione in divenire: la traditrice è la donna (certo, poi muore: era una tradizione all’inizio da perfezionare). Quello stesso anno in Italia arriva la legge sul divorzio. Mastroianni aveva quarantasei anni: è come se non fosse mai passata. Se domani mettono una legge che vieta di considerare beceri i tatuaggi, mica posso rispettarla: sono cinquantadue anni che li considero beceri, è la mia tradizione.
Le stesse inefficaci obiezioni sulla famiglia tradizionale, da sinistra le fanno a Mario Adinolfi, che è nato a legge sul divorzio già operativa e a un certo punto tradizionalmente s’è risposato con una assai più giovane e più caruccia; ad Arianna Meloni, che pure lei non ha mai vissuto in un’Italia senza divorzio, e tradizionalmente non ha più avuto bisogno del marito quand’è diventata lei la persona di potere in casa; a Gennaro Sangiuliano, che è più vecchio della legge sul divorzio e molto tradizionalmente ha fatto le corna alla moglie e poi ha frignato quand’è stato scoperto.
C’è solo una tradizione violata, e l’ha in effetti violata Sangiuliano, andando a piangere in televisione. Evidentemente vittima dell’americanizzazione dell’occidente, il ministro s’è convinto di dover fare quella pacchianata contrita da paese imbecille in cui andare a letto con una tizia consenziente è chissà quale violazione del patto sociale. Pensava d’essere Anthony Weiner, invece d’ambire a essere Cirino Pomicino. Pensava che la regola fosse quella di The Good Wife, chiedi scusa a tua moglie, invece che quella di Gianni Agnelli, «ci sono uomini che parlano con le donne e uomini che parlano delle donne».
Ma torniamo a quelli a sinistra la cui risposta è «e allora con la famiglia tradizionale come la mettiamo», poveri noi. A parte l’inefficacia – bisognerebbe semmai dire, da sinistra: ci fa piacere che anche voi abbiate capito come funziona una società in cui le famiglie sono assai meno strutturate di prima – vorrei capire cosa a sinistra pensino voglia dire “tradizione”.
Di solito rispondono cosa c’entra, i politici del Novecento tradivano le mogli ma mica cianciavano di famiglia tradizionale, mica facevano un punto elettorale del loro modello di famiglia. Ma benedetti figlioli, cosa dovevano arginare? Il divorzio che non esisteva e avrebbe poi attecchito assai meno che in America? Il matrimonio gay che non era neanche un desiderio nel sottoscala della ragione dei più all’avanguardia tra i militanti? Che propaganda devi fare, per la famiglia tradizionale, se esiste solo un modello di famiglia nella società in cui vivi?
Secoli fa – l’avrò di certo già raccontato – ho dato un’intervista a un giornale americano per un libro che avevo scritto sulla tradizione adultera nel Novecento italiano. L’ufficio legale del giornale era preoccupatissimo, è diffamatorio dire che Scalfari tradiva la moglie, che la tradiva Fellini, che la tradiva Mastroianni. (Che poi “tradire” è anche il verbo sbagliato, per quell’adulterio all’italiana che è a tutti gli effetti un matrimonio parallelo).
Sono americani: l’idea che di quelle relazioni parallele si sapesse tutto, che i dettagli fossero patrimonio culturale comune, che gli stessi fedifraghi ne avessero parlato in pubblico, era un’idea sconvolgente. La loro tradizione è divorziare e risposarsi ogni volta che ti gira, mica spassarsela fuori di casa. Se gli dici che in Europa va diversamente, che Mitterrand aveva non solo una storia parallela ma pure una figlia segreta, segreta per i giornali ma non per la moglie, gli piglia un colpo.
In The perfect couple, la serie di Netflix che tutti quelli che conosco hanno passato ieri a vedere dopo averla aspettata mesi, la cosa più divertente è pensare a quanto gli americani avranno immaginato fosse perturbante il dettaglio che Liev Schreiber, si scopre via via, se le è scopate tutte. Ma è Liev Schreiber, santiddio: l’avete visto? Perché non dovrebbero lanciargli le mutande, e perché lui non dovrebbe approfittarsene? Perché nella serie è sposato con Nicole Kidman? Ma non funziona così, il matrimonio e il desiderio sono due piani che mica s’intersecano: venite in Italia, abbiamo una tradizione da insegnarvi.
Una tradizione che a sinistra sembrano aver dimenticato tutti, perché se una cosa non è stata caricata su Netflix negli ultimi tre quarti d’ora non esiste, non è materia di cultura generale. Non è su Netflix né altrove L’immorale, il film di Germi in cui Ugo Tognazzi è un violinista che muore di fatica dopo essersi diviso tra una moglie e un’amante che pretendono entrambe compleanno, Natale, domeniche, e tutto quel che tradizionalmente ci si aspetta da un uomo. E quindi, chiunque abbia meno di quarant’anni (o forse di cinquanta o sessanta) si sente autorizzato a non sapere niente di come fosse fatto il Novecento. Vorrà dire che svilupperemo nuove tradizioni. Con quella dell’ignoranza siamo già a un ottimo punto, le prossime generazioni se la troveranno consolidata.