Avvenire, 6 settembre 2024
Il settore dell’auto si sta suicidando
Lo dicono i numeri, lo confermano la disastrosa realtà del mercato e la preoccupante prospettiva occupazionale e di fruibilità per il futuro: senza interventi strutturali sulle politiche attuali al momento difficili da ipotizzare, quella dell’automobile verrà ricordata come la transizione ecologica più fallimentare della storia. Le intenzioni erano ottime, ma il sistema scelto per arrivare al risultato è stato pessimo, e lontano dalle aspettative, dalle necessità reali e dalle possibilità economiche della gente. E soprattutto resta incomprensibile l’incapacità da parte dell’Europa di correggere in corsa l’approccio alla svolta elettrica che si è rivelato approssimativo e privo del supporto che una rivoluzione del genere – per giunta imposta dall’alto e non scelta dal pubblico – sarebbe stato indispensabile. La crisi della mobilità 100% a batteria, che non decolla e anzi implode su se stessa con percentuali di immatricolazioni sempre più basse nonostante gli incentivi, non è l’unica ma è una delle cause che stanno trascinando nello stallo l’intero settore dell’automotive. Meno auto prodotte, e meno auto vendute, significano posti di lavoro a rischio e fabbriche in chiusura persino nella potente Germania. E prospettive drammatiche per l’Italia, che sui motori ha vissuto stagioni esaltanti ormai sempre più lontane. Ma non è solo una questione di occupazione. C’è un diritto alla mobilità da difendere. E una giusta aspettativa verso sistemi di propulsione ecologici distrutta dalla realtà di vetture a “zero emissioni” allo scarico nessuna delle quali oggi a listino ha prezzi medi inferiori a 20mila euro e che l’Europa vuole imporci senza alternative a partire dal 2035. Dall’altra parte della barricata ai segni meno del mercato, i costruttori stanno reagendo in maniera disordinata, adeguando in corsa i piani prodotto. C’è chi sposta in avanti i termini per il passaggio definitivo all’elettrico dopo aver annunciato scadenze imprudenti, come stanno facendo in molti, a iniziare da Volvo e Audi. C’è chi addirittura rispolvera il diesel, come Stellantis in alcuni mercati. E chi ammette senza mezzi termini di aver sbagliato le previsioni, come Ford. Molti hanno deciso di produrre meno vetture termiche per far crescere artificialmente la percentuale di emissioni zero evitando le multe, ma vendendole a un prezzo più alto per non perdere i margini ai quali erano abituati. Tutto questo mentre la Cina avanza, offrendo prodotti esteticamente e tecnologicamente sempre migliori, e con listini più che competitivi. L’Europa le ha spalancato le porte, suicidandosi. E illudendosi ora che i dazi basteranno a chiuderle. Non sarà così.