il Fatto Quotidiano, 6 settembre 2024
Nello spot di Glovo, la Fiction cancella il sudore e la fatica
Che poi, se piove e fa freddo, se ci sono le buche e magari si sono riempite d’acqua, se le salite sono ripide e le discese pericolose, se gli altri automobilisti sono sbadati e gli autisti degli autobus spesso centrano quelle maledette buche che magari si sono riempite d’acqua.
Se poi non c’è la mezza stagione e dopo le piogge e il freddo arriva il caldo, sempre più caldo, ma le salite sono le stesse, così come le buche (d’estate però si vedono) e si suda, si pedala e si suda.
Insomma, se è una tragedia, un’azienda come Glovo che c’azzecca?
Niente, ci mancherebbe. Loro devono vendere un servizio, un sogno dietro un servizio, loro rendono materiale la possibilità di portare in casa delle soluzioni di gran respiro: una bella cena, chissà, pure gourmet; una bottiglia di vino, anche due, dipende dalla sete e dalle persone; e poi pacchi, pacchetti, sorrisi.
E chi citofona a casa?
Qui il problema.
Secondo la benedetta pubblicità di Glovo sono tutti ragazzi mitteleuropei, ben piazzati, meglio dire “bellocci”. Perfetti. Sorridenti. Felici del proprio lavoro. Appagati. Mai sudati. Mai spiegazzati. Mai infagottati da cerate, tute, caschi, copriscarpe e copri-copriscarpe.
Non suonano con la catena della bicicletta in mano.
Sono aitanti, muscolarmente definiti, denti bianchi. Hanno tutti i denti.
Macchie di sudore, pioggia o altro, vade retro.
Qualcosina cambia nella realtà.
La realtà massacra.
Chi suona è quasi sempre affranto, a volte incazzato se va da chi abita alla fine di una bella salita.
Di mitteleuropei non se ne vedono.
Sono oggettivamente stanchi, se piove bagnati, se piove tanto sono fradici; se fa caldo sono pezzati; sono talmente affranti che l’unico sorriso è generato dalla mancia; sono talmente schiacciati dalla necessità di inanellare corse, di non perdere la chiamata, che spesso sono pronti a lanciare la busta modello staffetta alle Olimpiadi; sono talmente preoccupati che qualcuno gli possa sottrarre il mezzo di locomozione o di perdere tempo, da arrivare sull’uscio di casa con il mezzo a mano.
Uno potrebbe replicare: questo è un discorso razzista!
Eh no, è esattamente il contrario: il razzismo si annida dietro la bugia, dietro il voler palesemente nascondere, alterare la realtà; nel ripetere centinaia di volte la bugia, sicuri di vincere sul sottinteso; razzista è non affrontare cosa accade a questi ragazzi che pedalano, rischiano, prendono botte, cadono, guadagnano meno del giusto; razzista è far vincere la fiction sul sudore.
Se invece uno vede il mitteleuropeo sorridente, ben vestito, pulito e vincente, dentro di sé si convince che quella è la realtà; che il tizio incazzato, sudato, affranto che ti citofona a casa, è solo uno incazzato, sudato, affranto e colpevole.
Un po’ quello che accade con le ultime fiction pervase dal nuovo politically correctdove, nell’Inghilterra colonialista, razzista, violenta dell’800 troviamo attori di colore con ruoli da principe; donne che a quel tempo erano schiave sono diventate nobili.
Bridgerton su tutte. Oppure Un gentiluomo a Mosca, serie britannica con Ewan McGregor protagonista, ambientata nella Mosca post Rivoluzione russa, con i terribili bolscevichi molto abbronzati e in testa pettinature in stile Bob Marley.
Il problema non è chi racconta le balle, il problema è chi ci crede e, a forza d’insistere, saremo anche noi a cadere dentro una buca piena d’acqua.