La Stampa, 6 settembre 2024
Nona puntata della serie sui 125 anni della Fiat
La quotazione di Fca a Wall Street (e a Milano), il 13 ottobre del 2014, è certamente il coronamento di un progetto: “Creare un’unica società, con un’unica cultura aziendale, in grado di competere sui mercati mondiali”, come aveva detto John Elkann al momento dell’acquisizione definitiva di Chrysler. Nel 2014 Fca vende 4,5 milioni di auto nel mondo (circa un terzo sono Jeep) ed è il settimo produttore mondiale. Ha in cantiere obiettivi ambiziosi come riportare sul mercato americano due marchi prestigiosi, l’Alfa Romeo e la Maserati. A Balocco, vicino a Biella, in uno dei centri prova dell’Alfa Romeo si preparano i futuri modelli del Biscione: «Ci sono decine di ingegneri e tecnici che lavorano giorno e notte nei capannoni di Modena e Balocco per creare modelli di eccellenza», racconta l’ad. A maggio 2016, proprio a Balocco, viene svelata la nuova Alfa Giulia. Nel 2018 il Biscione venderà 24 mila auto negli Stati Uniti, un record. Il 2017 sarà l’anno record delle consegne Maserati con oltre 50.000 auto vendute.Ci sarebbe da accontentarsi ma tutto questo, in realtà, non basta. Per mettersi al sicuro e risparmiare capitale, bisogna lavorare per un’ulteriore alleanza. Uno dei passi da compiere è quello che annuncia Marchionne a fine ottobre 2014: «Riteniamo che sia possibile estrarre valore con la quotazione di Ferrari», dice l’ad in conferenza stampa. E John Elkann spiegherà: «Ferrari non è un titolo dell’auto ma del lusso». La separazione tra Fca e il titolo di Maranello «servirà a focalizzare meglio le due società». Dopo una prima prova a fine 2015 con la messa in vendita del 10 per cento delle azioni, la quotazione parte il 2 gennaio 2016 a Milano: una scelta fatta per sottolineare l’italianità del titolo, che in borsa assume la sigla Race. In prima fila il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. All’avvio la quotazione è di 43 euro. Oggi, dieci anni dopo, è decuplicata a 430.Separata la strada con Ferrari, Fca è pronta per cercare un nuovo alleato. Il problema da risolvere è quello che ad aprile 2015 Marchionne illustrerà agli analisti nella celebre presentazione «Confessioni di un drogato di capitale». Nelle 21 slides dati impressionanti. “Il settore auto non ha remunerato il capitale nel corso di un ciclo economico. E il consolidamento è la chiave per rimediare al problema”, premette l’amministratore delegato. L’auto richiede investimenti che stanno diventando impossibili: «Nel solo 2014 i grandi costruttori hanno investito 100 miliardi di euro per lo sviluppo di prodotto, quasi due miliardi a settimana». E per Fca «l’integrazione con un altro costruttore, genererebbe benefici per 2,5-4 miliardi di euro all’anno».Integrarsi ma con chi? L’ipotesi più accreditata è quella del costruttore con cui tutto era cominciato: General Motors. Dal 15 gennaio 2014 Mary Barra è amministratrice delegata della società. Accolta con scetticismo dal mondo dell’auto americano («una donna al volante» è la battuta ricorrente) Barra presenta un piano decennale di ristrutturazione che prevede riduzioni di posti di lavoro e lo snellimento del gruppo con la vendita di asset. Ironia della sorte tra le cessioni c’è la Opel, che Barra vende ai francesi di Psa. La proposta di acquisto della costola europea di Gm era stata la mossa di Marchionne nel 2009, nelle settimane in cui maturava l’operazione Chrysler, con l’obiettivo di risparmiare capitale negli investimenti. A sei anni di distanza, il no detto alla Fiat diventa il sì di Mary Barra ai francesi, a dimostrazione che l’analisi di Marchionne era fondata. E infatti dodici mesi dopo la vendita Opel, in perdita da un decennio, torna a macinare utili. Barra, la prima donna alla guida di un grande gruppo automobilistico, ha una biografia che la rende da subito un personaggio. Nata a Royal Oak, una delle cittadine sorte intorno a Detroit, ha lavorato alla catena di montaggio della Gm per pagarsi gli studi e poi ha percorso tutta la carriera interna fino al vertice.Fin dall’inizio i rumors su una possibile alleanza Fca-Gm si fanno insistenti. Due giorni dopo il discorso di Marchionne agli analisti, Barra rilascia una secca dichiarazione: «Abbiamo presentato un piano decennale e a quello vogliamo attenerci. Senza distrazioni». Già a marzo la manager aveva risposto negativamente alle proposte partite dal consiglio di amministrazione di Fca. In maggio il presidente di Gm, Dan Amman, arriva a Torino a visitare la sede del gruppo per lo studio dei motori diesel ma non incontra Elkann e Marchionne. Spiega che Gm non intende costruire alleanze globali ma accordi mirati con gli altri costruttori sui singoli prodotti. Un capitolo chiuso dunque? Non proprio. Il discorso di Marchionne sul risparmio negli investimenti sembra allettare almeno una parte dei fondi di investimento soci di Gm, un’azienda molto legata ai salotti della politica di Washington. «Studiavamo le puntate di ‘House of card’ per capire le dinamiche della partita», racconta chi seguiva il dossier. Secondo la ricostruzione di Tommaso Ebarth, capo della sede italiana di Bloomberg, un gruppo di banche avrebbe manifestato la disponibilità a mettere 60 miliardi di dollari al servizio di una possibile scalata. Strada che sarebbe stata costosa e rischiosa e che il cda di Fca ha preferito non seguire. È probabilmente lì, in quel preciso momento, che Sergio Marchionne capisce che non sarebbe stato lui a portare Fca alla grande alleanza in grado di metterla al sicuro. Così, ad aprile 2016, in una sala dell’albergo di Amsterdam dove si svolge l’assemblea degli azionisti, l’amministratore delegato spiega ai giornalisti che la sua permanenza alla guida del gruppo ha una data di scadenza, l’assemblea della primavera 2019 che approverà il bilancio 2018. Era il 2016. Che cosa avrebbe fatto l’ad nei successivi 24 mesi? «In questi anni di crisi abbiamo avuto molto da fare in cucina. Ora che i nuovi modelli stanno arrivando sul mercato e che il forno torna a produrre utili, io devo pulire le pentole, lucidare le stoviglie. Insomma, lasciare tutto in ordine per chi verrà dopo di me». Quel discorso ci aveva colpiti tutti: un Marchionne inedito lavorava perché qualcun altro dopo di lui realizzasse la grande alleanza che lui aveva tentato senza riuscirci.Cucina in ordine significa azzeramento dei debiti, tornare a produrre utili e distribuire dividendi. Nell’ultimo anno di guida Marchionne, tutto in Fca è finalizzato a questo scopo. L’appuntamento è per il 1 giugno 2018, naturalmente a Balocco. Marchionne si presenta alla convention con la cravatta, la scommessa vinta per una società senza debiti: «Diceva Oscar Wilde: una cravatta ben annodata è il primo passo serio nella vita». Il piano prevede di investire 9 miliardi nell’elettrico entro il 2022. La distribuzione degli utili tornerà dopo otto anni. «In questi anni Fca ha rafforzato la sua componente italiana», sottolinea John Elkann che ribadisce l’impegno di Exor e in conferenza stampa garantisce: «La nostra famiglia crede in Fca. Ha un futuro brillante. Non abbiamo alcuna intenzione di vendere»