la Repubblica, 6 settembre 2024
Giovani a scuola per diventare pastori
«Forse questo è il mestiere più antico del mondo, portato avanti da anni sempre nello stesso modo: ma il mondo va avanti e per questo anche noi pastori dobbiamo aggiornarci, evolverci». Maria Pileri, 35 anni, è una pastora della provincia di Sassari. Lo scorso anno ha deciso di tornare sui banchi di scuola per «non rimanere indietro», per aggiornarsi con nuovi saperi alla Scuola Sarda di Pastorizia che è stata promossa gratuitamente dal Gal Anglona Coros e finanziata dalla Regione, un corso che da pochi giorni ha aperto le nuove iscrizioni alla seconda edizione.Oltre a quella sarda, anche se poi cambiano le forme di finanziamento o gli enti promotori, in Italia da ormai più di due anni ci sono almeno altre tre scuole per pastori: nella zona del Piemonte e delle Alpi, in Sicilia e nelle Foreste Casentinesi. Sono tutte realtà dove non si insegna a fare i pastori, a gestire animali e pascoli – perché chi è iscritto spesso già sa farlo – ma si gettano le basi per avere nuove consapevolezze del proprio mestiere, per conoscere l’importanza della biodiversità e la cura degli ecosistemi, per usare nuove tecnologie che aiutano la professione, ma anche per creare competenze che possano sia preservare le tradizioni sia evitare lo spopolamento delle aree interne.«Sono tutte forme di scuole ispirate dal progetto, lanciato in passato, della Rete nazionale di pastorizia, la rete Appia. Da lì sono scaturite iniziative diverse ma che hanno spesso lo stesso obiettivo: fornire strumenti ai giovani che hanno scelto di fare i pastori», spiega Luca Battaglini, professore del dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino e fra i fondatori della rete Appia.Per secoli questa professione si è basata sulla trasmissione verticaledei saperi dei pastori all’interno delle famiglie ma oggi, fra crisi climatica, globalizzazione e nuove attrattive per gli adolescenti, secondo i promotori delle scuole è necessario fare un passo avanti per non far scomparire questo mestiere.«Le antiche conoscenze vanno difese, ma dobbiamo anche integrarle con quelle scientifiche, economiche e con le sperimentazioni recenti che altri pastori hanno già fatto. Oggi fra i giovani l’interesse c’è: nelle Foreste Casentinesi per esempio sono arrivate centinaia di richieste, anche se poi il corso era per una dozzina di persone», spiega il docente.A scuola di pastorizia oggi vanno sempre più ragazze, anche ventenni, spesso figlie e figli di pastori, giovani quasi tutti tra i 18 e i 40 anni. Le lezioni prevedono sia didattica sul campo, sia in aula.«Io per esempio ho fatto 120 ore di lezione – racconta Pileri – durante un’esperienza che consiglio assolutamente. Il mestiere lo conosciamo, ma si approfondisce: per esempio la parte sul benessere animale, su come gestire gli esami veterinari, sulle colture, ma anche sulla cura del territorio», spiega la pastora costretta oggi ad allevare in una Sardegna«sempre più colpita dalla siccità».Spiega anche che i pastori devono stare al passo con le tecnologie. Ci sono quelle relative al risparm io idrico, quelle sulla cura e il benessere delle pecore, ma anche i dettagli che offre la Precision Livestock Farming (Pfl), sistema di allevamento di precisione che passa per metodi elettronici.Negli ultimi anni in Italia, secondo Coldiretti, quasi duemila giovani hanno deciso di dedicarsi alla pastorizia. Il problema, ricorda però il professor Battaglini, è che «di fatto oggi abbiamo sempre meno pastori in piccole realtà. Al contrario abbiamo tante aziende grandi: come patrimonio zootecnico non abbiamo perso tanto in numero di capi allevati, ma abbiamo perso in numeri di unità di allevamento, spesso quelle di piccole dimensioni che un tempo erano linfa e difesa dei territori. Oggi ci sono giovani che vogliono dedicarsi ad alpeggio, allevamenti o formaggi, senza però per forza diventare grandi produttori: sono loro che dobbiamo aiutare, anche con le competenze. Hanno bisogno di sostegno». Aiutare loro, chiosano i responsabili delle scuole di pastorizia, significa di conseguenza sostenere la biodiversità ed evitare lo spopolamento. Una indagine Crea afferma che il 67% dei giovani vorrebbe continuare a vivere e lavorare nel proprio territorio: per farlo però serve anche tornare a scuola: «La passione per questo mestiere l’abbiamo tutti – conclude Maria – ma in un mondo che va così veloce ormai non basta, dobbiamo anche aggiornarci».