la Repubblica, 6 settembre 2024
Ministero della Cultura, aperta la successione
È l’occasione della vita. Accarezzata durante la gestazione del governo Meloni e poi però sfumata a vantaggio dell’ex direttore del Tg2,che alla leader di FdI pareva offrire maggiori garanzie di allargare oltre il recinto di Colle Oppio. Ora però che Sangiuliano è caduto in disgrazia, che la sbandata per la consulente fantasma rischia di costargli il posto, gli incarichi su cui erano stati costretti a ripiegare – seppur prestigiosi – paiono all’improvviso angusti. Scatenando le ambizioni di chi ha sempre puntato alla vetta della Cultura, sempre più in palio: con che tempi, deciderà la premier.Sfogliando la margherita degli intellettuali d’area, sono essenzialmente tre i papabili per succedere al ministro finito nella bufera. In pole c’è Alessandro Giuli, il giornalista ed ex conduttore Rai piazzato a presiedere il Maxxi, che l’anno scorso fece debuttare il programma estivo con un duetto indimenticabile fra Morgan e Sgarbi a base di monologhi sulla prostata, dissertazioni sessiste e volgarità assortite. Quarantotto anni, gran frequentatore di talk show, “pensatore” dedito alla costruzione del nuovo immaginario sovranista —Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea, l’ultima fatica – Giuli ha dalla sua una compostezza e una sobrietà sconosciute al pirotecnico Sangiuliano. Doti che potrebbero convincere Meloni, dopo illove affaire che sta facendo tremare il governo.Ma sono altissime anche le quotazioni di Pietrangelo Buttafuoco. Classe ‘63, già militante missino, anche lui giornalista, scrittore (prolifico) e conduttore tv, da meno di un anno presiede la Biennale di Venezia, che inaugurò facendo appello alla «aristocrazia della conoscenza». Eretico e controverso, anche per la scelta di abbracciare la fede islamica, si è sempre professato orgogliosamente di destra, ancorché alieno dall’amichettismo che imperversa fra i suoi commilitoni. Tant’è che nel nominare i curatori delle varie sezioni non ha premiato fedeli o parenti, ma i migliori su piazza. Al Cinema, ha confermato Alberto Barbera. Al Teatro ha voluto Willem Defoe e all’Architettura Carlo Ratti, unico italiano che lavora al Mit. Gente poco meloniana, ma dal curriculum straordinario. Una postura che potrebbe spostare il piatto della bilancia su di lui, pure per smentire le accuse di familismo che inseguono la presidente del Consiglio.Il terzo incomodo si chiama infine Gian Marco Mazzi, voracissimo sottosegretario che ha di fatto in mano le chiavi della Cultura. Mentre Sangiuliano tagliava nastri, lui era lì a presidiare nomine e decreti per de-franceschinizzare il ministero, insediare i dirigenti graditi, allontanare i sinistrorsi. Dentro e nelle istituzioni teatrali, cinematografiche, librarie. L’uomo dell’occupazione militare, che tanto piace a Meloni. Già direttore artistico di Sanremo e dell’Arena di Verona, eletto fra le fila di FdI, Mazzi offre la garanzia del tecnico e la spregiudicatezza del politico devoto. Protervia e fedeltà. Forse quello che serve dopo il Boccia-gate.