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 2024  settembre 06 Venerdì calendario

Senza farsa, senza apologia. Recensione di M, la serie tivù

La sapiente voce mussoliniana di Luca Marinelli apre la prima puntata di M – Il figlio del secolo con la più esplicita delle dichiarazioni programmatiche mentre sullo schermo passano le scene rese celebri dalla propaganda: la battaglia del grano, le adunate oceaniche, l’ora segnata dal destino… «C’è sempre un tempo in cui i popoli van verso le idee semplici: la sapiente brutalità degli uomini forti», per poi continuare mentre le immagini diventano quelle della guerra e di piazzale Loreto, «e poi mi avete odiato, follemente odiato perché mi amavate ancora. Mi avete ridicolizzato (…) anche da morto. Ma ditemi: a cosa è servito? Guardatevi attorno… siamo ancora tra voi».
L’idea, direi la necessità di questa serie targata The Apartment e Sky, presentata ieri fuori concorso a Venezia e da gennaio 2025 in piattaforma, è tutta qui, nella capacità di ricostruire le origini del Fascismo e dell’ascesa di Mussolini senza cadere nell’apologia né nella farsa ma cercando di interrogare continuamente lo spettatore. 
Era un procedimento che Antonio Scurati aveva perfettamente controllato nel suo omonimo libro, giocando sapientemente su tre piani: quello delle tante voci che ripercorrono la Storia, quello dei documenti storici che ne oggettivizzano i fatti e quello di una raffinata scelta linguistica che colora di nuova forza il racconto.
Per portarlo sullo schermo, gli sceneggiatori Stefano Bises e David Serino (con alle spalle il produttore Lorenzo Mieli) hanno ampliato l’idea in parte già presente nel libro di giocare tra la terza e la prima persona: la storia è evidentemente raccontata in terza persona, ma molte volte la finzione si «ferma» e Mussolini si rivolge direttamente al pubblico, commentando e chiosando quello che abbiamo visto, a cominciare dai suoi stessi comportamenti.
In questo modo si evita la possibilità di lasciar spazio all’empatia, si sospende ogni possibile identificazione e si costringe lo spettatore a rimettere continuamente in discussione quello che ha appena visto o udito.
Lo sperimentiamo per la prima volta quando Mussolini fonda i Fasci di combattimento a Milano, nel 1919, per accompagnarci poi lungo tutto l’arco delle otto puntate, che ripercorrono l’avventura di Fiume e i rapporti con Gabriele D’Annunzio (Paolo Pierobon), l’alleanza con gli agrari impauriti dall’attivismo socialista, l’arrivo dei primi deputati fascisti in Parlamento, lo scontro con don Luigi Sturzo (Paolo Macedonio) e la mano tesa al Vaticano, la marcia su Roma, e il trionfo elettorale del ’24, il ruolo di Margherita Sarfatti (Barbara Chicchiarelli) e di donna Rachele (Benedetta Cimatti), le sole che seppero – poi con la vedova Matteotti (Elena Lietti) – resistergli, per concludere con il delitto Matteotti (Gaetano Bruno) e con il discorso in cui il Duce se ne assume apertamente la responsabilità. 
Ma è chiaro che tutta l’operazione non avrebbe avuto la forza straordinaria che possiede senza un protagonista capace di reggerla sulle proprie spalle: evitando qualsiasi facile mimetismo (se non una certa opulenza fisica) Luca Marinelli gioca con lo sguardo e con la voce per far vivere un Mussolini che domina il film, giocando con tutte le possibili sfumature, capace di non irridere il personaggio e però anche di fermarsi un attimo prima dell’esaltazione.
Una prova il cui merito va diviso con la regia di Joe Wright, più controllato del solito e capace con poche scelte efficaci (come l’inclinazione dell’inquadratura) di restituire la perdita di equilibrio dei tempi. Offrendo insieme a questa serie una forza espressiva (grazie anche alla fotografia di Seamus McGarvey e alla colonna sonora composta da Tom Rowlands) che ne fanno un’opera da non perdere.