Corriere della Sera, 6 settembre 2024
Trump-Harris, una sfida tra due debolezze
Quella fra Donald Trump e Kamala Harris appare sempre più una sfida, incertissima, tra due debolezze. Certo, cambiando candidato i democratici hanno recuperato molto terreno rispetto a Joe Biden che, per i sondaggi, partiva sconfitto e di molto. La Harris è stata una scossa benefica: ha ridato fiducia ai democratici ora all’attacco anche in Stati che davano per già persi come North Carolina e Georgia, ridurrà l’astensionismo tra i progressisti e ha relegato sullo sfondo quell’attentato a Trump che, con le foto epiche di Donald insanguinato che stringe il pugno e grida fight! sotto la bandiera, era sembrato la pietra tombale sulla campagna democratica. Per un mese Kamala è stata sulla cresta dell’onda: attenzione enorme e benevola dei media, mobilitazione dei volontari, grande raccolta di fondi elettorali, il partito unito attorno a lei con una compattezza che pochi si aspettavano. Mentre Trump, oltre a non incassare il «dividendo» dell’attentato, si è ritrovato relegato nell’ombra per la prima volta da quando fa politica. Ma, pur avendo recuperato, la realtà è che nel suo momento migliore la Harris è in un testa a testa, senza avere vantaggi netti, in tutti i sette Stati in bilico. E la «luna di miele» è finita: col dibattito di martedì tornerà alla ribalta Trump, deciso a metterla alle corde con la sua dialettica. Kamala, poco empatica e poco convincente quando intervistata, può tirare fuori la verve della procuratrice che inchioda un plurincriminato (e condannato). Mentre Trump può ripetere l’errore di ricorre alle battute sprezzanti e sessiste amate dai suoi fan ma detestate dai moderati che deve conquistare. La Harris combatte con le sue fragilità interiori, Trump deve vedersela con un’incontinenza che può tracimare con proiezioni esterne: commentatori conservatori come Erik Erickson, presi molto sul serio dai siti della destra come Mediaite, sostengono che diversi esponenti repubblicani (non solo la sparuta falange dei never Trump) tifano segretamente per una sua sconfitta: disposti a 4 anni di purgatorio democratico pur di liberarsi di Donald e tornare all’ortodossia conservatrice su libero scambio, Nato, spesa pubblica, aborto. Ma tra tifare in segreto e incidere davvero sul voto c’è una bella differenza (e servirebbe una sconfitta netta, altrimenti Trump trascinerà la destra in un’altra contestazione del voto).