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 2024  settembre 05 Giovedì calendario

Don Mazzi dice la sua sul delitto di Paderno Dugnano

Il piglio di chi a quasi 95 anni ha visto ragazzi smarriti, perdersi e ritornare sani dall’inferno. L’invito a non dare giudizi, fare interpretazioni azzardate su quel che a volte è destinato a restare un mistero, ma non per questo condiziona il recupero. Don Antonio Mazzi, fondatore della comunità Exodus, c’è un 17enne che ha sterminato la famiglia. Ciò provoca angoscia e porta a chiedersi perché.«Vedo che gli specialisti hanno già espresso abbondantemente soluzioni al caso. Mi domando come facciano. Io dopo aver seguito per anni Erika De Nardo (la sedicenne che a Novi Ligure nel 2001 uccise, con l’aiuto del fidanzato, la mamma e il fratellino) non ho mai avuto il coraggio di chiederle perché ha ucciso, credo neanche suo padre. E ancora non lo so, non lo ho capito».Ha passato mesi, anni con lei.«Ho cercato di capirla, come ha fatto suo padre. E di accettarla. Si è laureata in carcere, ero presente. Ma non so dire perché ha ucciso. Ha avuto la fortuna di avere un padre eroe che pur sapendo che la figlia avrebbe voluto uccidere anche lui, le è sempre stato al fianco. E io da 40 anni sono al fianco di casi come questo».Famiglie normali, dove tutto può accadere. È questo a spiazzare.«Per questo meglio tacere, meglio il silenzio. Di fronte a questi giovani killer mi sento solo di dire: ascoltiamoli, umilmente. E poiché diciamo che ogni uomo è copia unica, mistero, perché di fronte a questi casi speciali che esulano dalla normalità, abbiamo in tasca la soluzione? Spero solo abbia vicino un familiare presente, è stata la fortuna di Erika».Non sembra preoccupato, non si unisce alle analisi di chi punta l’indice sulle famiglie, la scuola, la società, i social.«Il caso di Paderno non mi spaventa. Sono episodi che possono accadere, non sono la fine del mondo».Ma ammetterà che campanelli d’allarmi possono esser colti?«È meglio avere in casa un adolescente che “rompe”, ribelle insomma, piuttosto che uno troppo bravo. Non è normale la rottura. Curiamo le relazioni, quando un ragazzo comincia a non parlare, iniziamo a dubitare».Per “rottura” intende quella che finisce sui giornali.«Invito tutti a una riflessione, ma non c’è soluzione. Anzi, trovo una bella idea quella proposta da alcuni psicologi americani, pur ritenendoli spesso superficiali: che una volta a settimana si faccia una cena in famiglia con portate preparate dal figlio. Il senso è quello di aspettarsi tutti per una cena speciale, non per forza fuori casa. Una cena così vale di più di un colloquio con lo psichiatra».Altre invettive non lancia. Come chi ne ha viste tante.«In comunità ho avuto un ragazzo che ha ammazzato il padre. Non parlava, mangiava tanto, tantissimo. Me lo sono messo davanti, si strafogava, lo osservavo in silenzio, non diceva una parola mi guardava in maniera strana. Col tempo è tornato normale, ora ride e mi dice “tu mi hai fregato”. Gli rispondo: “Non ti ho fregato, tu hai capito che dovevi cambiare”. Ma ci è voluta molta pazienza».Come approcciare a questi ragazzi problematici?«Sono sempre stato in mezzo a loro. Non devono pensare che sei lì per educare, importa che capiscano che sei contento di stare con loro. Inutile insistere su quella fissazione che è diventata tragedia».Un consiglio, uno, per i genitori.«Più il ragazzo è difficile e più deve avere l’idea che si ha piacere a stare con lui. Sottolineo l’importanza delle relazioni, non parlo di presenza ma di emozione piacevole, e deve arrivare agli interessati. Chiaro che sta cercando il momento, che dobbiamo stargli vicino, penso a quel ragazzo, non servono preti e psicologi, l’intento non deve essere quello di cambiarlo ma fargli capire che ancora siamo contenti di stare con lui. Secondo me ha attorno persone sbagliate».Cosa intende?«Tra l’uccisione e la morte, c’è un abisso, ci sono frasi da accettare e ascoltare in silenzio, cosa andiamo a interpretare? Un ragazzo intelligente non è possibile che reagisca così per uscire da qualcosa, non ci credo, vuol dire che tra il virtuale e il reale c’è qualcosa che non torna. Non resta che stargli vicino, con molta attenzione e rispetto, Ascoltare. Non voglio spiegare e capire l’ammazzare, devo accettare, senza comprendere niente. Spero che Erika piano piano abbia capito se stessa, la quotidianità l’ha aiutata. Ogni caso è unico, si deve avere il coraggio di accettarlo senza la pretesa di interpretarlo».La sua sembra tutt’altro che una resa, anzi.«L’esperienza aiuta a dire facciamo silenzio, con umiltà. Tacere. E ascoltare».