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 2024  settembre 05 Giovedì calendario

Kuleba, il globetrotter degli aiuti militari

Dopo Zelensky, non c’è nessun politico ucraino più visto e popolare di Dmytro Kuleba, classe 1981, un volto grigio che però è diventato uno dei vessilli della resilienza di Kiev di fronte all’Orso russo. C’è chi lo ricorda sul mega-schermo di “Che tempo che fa”, ospite di Fabio Fazio dai bunker di Kiev in maglietta come Zelensky. Erano i primi mesi del conflitto, c’era la tragedia di Mariupol col suo teatro e ospedale martellati dalle bombe, la cittadina in cui si asserragliò nelle acciaierie il reggimento Azov, cercando di frenare l’avanzata dei russi alla conquista di tutta la costa del Mar Nero. «Stiamo realmente soffrendo – spiegò Kuleba – per tutti questi crimini che vediamo in Ucraina per la guerra, ma noi vogliamo la pace per il nostro Paese. Vogliamo continuare i negoziati. Prima del conflitto, Mariupol era una città bellissima, con 500mila persone che ci vivevano. Adesso è una città che non esiste più, a fatica è rimasto in piedi un edificio, centinaia di persone sono state uccise». Da allora, poco è mutato. Su X, Kuleba non ha mai smesso di postare le sue frasi indignate per i quotidiani attacchi russi. Sino all’ultimo, quando già aveva finito di scrivere la lettera di dimissioni. Fino ai missili su Poltava, con oltre 50 morti e 200 feriti, e ieri i 7 morti e 46 feriti a Lviv, ben lontano dal confine con la Russia, con due missili su una fabbrica di armi, che però hanno ucciso una madre e le sue due figlie. Nelle scorse ore, Kuleba ha condannato l’ennesimo attacco «brutale» della Russia e esortato «le capitali, i ministri e le organizzazioni internazionali a condannare fermamente il crimine di guerra di Mosca contro i civili». E, poi, un nuovo appello in quella che è stata la sua battaglia fondamentale delle ultime settimane e mesi, quella per consegnare in fretta «i sistemi di difesa aerea e le munizioni promesse». Una delle ragioni, forse, che ha portato alle sue dimissioni è stata la lentezza dei rifornimenti. Per lui si profila, dicono i media ucraini, la posizione di ambasciatore dell’Ucraina presso l’Unione europea. Sarà l’uomo che tratterà l’ingresso di Kiev. Nato nel 1981 a Sumy, è figlio d’arte, una schiatta di diplomatici. Il padre, Ivan, alto diplomatico, ex viceministro degli Esteri nel 2003-2004, ambasciatore in Egitto, nella Repubblica Ceca, in Kazakistan e in Armenia. Il figlio ne ha seguito le orme. Laurea e dottorato in diritto internazionale. Dal 2003, al Ministero degli Esteri. Una parentesi come presidente della Fondazione Uart per la Diplomazia culturale. Nel 2017 premiato miglior diplomatico ucraino dell’anno. Ma c’è anche un aspetto personale che lo lega all’Italia. All’indomani della tragedia nucleare di Chernobyl, nel 1986, fu tra i molti bambini portati in Italia per sfuggire alle conseguenze malefiche di quella catastrofe. Si ritrovò in Irpinia a Atripalda, provincia di Avellino, e per questo nel momento in cui si scatenò in Italia la pandemia da Covid si fece in quattro per restituire il favore e darci una mano con aiuti e assistenza. Nell’aprile 2022, al Tg1 disse: «Dopo che avremo vinto la guerra, la prima visita che farò privatamente, non in qualità di ministro, sarà in Italia per ricordare tutti i momenti passati nel vostro Belpaese». Tra i suoi ricordi il «fantastico» Roberto Baggio e una pizza margherita «semplice ma molto buona». Non è una figura brillante, ma seria. E ha seminato rispetto, specie in Germania dove ha coltivato un rapporto di stima reciproca con la sua omologa, Annalena Baerbok, che adesso gli rende omaggio. «Lunghe conversazioni sui treni notturni, al G7, in prima linea, a Bruxelles, davanti a una centrale elettrica bombardata. Ci sono poche persone con cui ho lavorato così a stretto contatto come te, Dmytro. Hai messo la gente del tuo Paese prima di te stesso». Ancora l’altro giorno, Kuleba ha sottolineato che l’Ucraina sta finalizzando gli accordi con i partner sulla revoca dei divieti di lanciare attacchi coi sistemi d’arma occidentali contro obiettivi militari all’interno della Russia. Il suo cruccio è proprio quello di non ave