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 2024  settembre 05 Giovedì calendario

Il giornalista Yaari non crede che Sinwar sia a Gaza

A quasi un anno da quel tragico 7 ottobre che ha spezzato i fragili equilibri del Medio Oriente, dopo mesi e mesi di guerra incessante, Israele e Hamas sembrano essere di nuovo punto a capo. Le forze dell’IDF combattono con forza per annientare i terroristi palestinesi e riportare a casa gli ostaggi innocenti, ma questi muoiono quotidianamente nei tunnel del terrore e vengono liberati quando ormai è per loro troppo tardi. Come si concluderà dunque il conflitto ancora in corso? E se al posto di concludersi, si espanderà ancor di più? In esclusiva per Libero, Ehud Yaari, giornalista israeliano di fama internazionale ritenuto da molti il massimo esperti circa il conflitto locale e il mondo arabo circostante, ha esposto il suo poco incoraggiante pronostico a riguardo e svelato il suo legame misterioso con il temuto leader di Hamas, Yahya Sinwar.


Yaari, è trascorso quasi un anno dal 7 ottobre e dall’inizio della guerra in Medio Oriente. Quali sono le sue impressioni a riguardo?
«Credo sia stato l’anno più difficile della storia d’Israele, dalla Guerra d’Indipendenza del ’48 ad oggi».
Crede che Israele l’abbia reso ancora più difficile di quanto già fosse? Voglio dire, crede che le cose potevano andare diversamente?
«Israele ha sprecato troppo tempo prima di entrare a Gaza. Doveva essere più veloce e più reattiva. Così sta facendo anche con il Libano: è stato uno sbaglio sfollare le città del nord. Se i cittadini israeliani abitassero ancora tutti nelle loro case, sono convinto che Hezbollah non avrebbe il coraggio di bombardare con tanta violenza le abitazioni oltre il confine».
Lei crede che Israele debba dichiarare guerra al Libano?
«Io capisco il motivo per il quale Israele non voglia gestire più battaglie su fronti diversi, ma sono convinto che poteva agire già mesi fa in modo più incisivo senza scatenare alcuna guerra».
Come esattamente?
«Veda, non è una questione di forza, ma una questione di tempistica. Il timing definisce il tono della guerra più dell’aggressività. Io credo che Israele stia agendo in modo troppo lento e contenuto in Libano, perdendo così il suo momentum favorevole».
Qual è l’interesse di Hezbollah a entrare in guerra contro Israele?
«Nessuno. Hezbollah sa bene che il Libano verrebbe distrutto; infatti, io credo che terminata la guerra contro Hamas, anche il fronte nord si calmerà».
Israele ha motivo di temere i suoi nemici o è abbastanza forte da affrontare Hamas, Hezbollah, Houti e il regime iraniano contemporaneamente?
«Credo che dopo la strage del 7 ottobre, Israele è riuscita ampiamente a riacquisire la sua forza deterrente nella regione».
E lei come interpreta questa guerra fredda che si è creata con l’Iran, fatta di tante minacce e pochi fatti?
«Non è affatto una guerra fredda, è una guerra a tutti gli effetti, ma si svolge in modo diverso dalle altre guerre. In questo caso, l’Iran non attacca direttamente Israele, ma la attacca tramite le sue milizie sparse per il Medio Oriente. Possono essere milizie sciite come Hezbollah, sunnite come Hamas o zaide come gli Houti. Poco importa, l’Iran è pronto a sacrificare tutti senza sporcarsi le mani».
Scacco matto.
«Non proprio. Direi piuttosto che questo è il suo punto debole. Non il suo punto di forza. Il regime decide di coinvolgere tutte le milizie proprio perché sa di non potercela fare da solo. Negli ultimi duecento anni, l’Iran non ha combattuto una sola guerra al di fuori dei suoi confini. Anzi, è avvenuto una volta sola, quando Saddam Hussein ha attaccato e la risposta in Iraq è stata inevitabile, ma molto breve e circoscritta».
E tutti questi missili di cui si arma il regime?
«Il regime sa bene che se dovesse attaccare Israele e l’America, rimarrebbe in mutande. M creda, l’IDF potrebbe bombardare quella piccola isola a nord dell’Iran che produce circa il 90% del petrolio nazionale senza alcuna difficoltà».
E perché non lo fa se è tanto facile?
«Perché gli americani si ostinano a voler parlare con l’Iran e non combattere, e Israele accetta la volontà americana».
Mi sorprende, Yaari, non mi aspettavo uno scenario tanto roseo. Ero convinto che anche lei, come tutti gli altri, temesse la minaccia iraniana.
«Non mi fraintenda: non sottovaluto affatto l’Iran. Anche se non attacca direttamente, il modo in cui il regime riesce a scatenare le milizie contro Israele è assolutamente preoccupante. La strategia di colpire Israele su ogni fronte e con ogni gruppo terroristico locale, tirando i fili da lontano, per ora sembra funzionargli molto bene».
Abbiamo parlato di Hezbollah, del regime, parliamo ora di Hamas. È vero che lei è in contatto con il famigerato Yahya Sinwar?
«Non in contatto diretto, ma sì, è vero».
Crede che sia soddisfatto di come si sia sviluppata la guerra dopo il 7 ottobre?
«No, e non lo credo, ma ne sono certo: Sinwar non si aspettava una risposta simile da parte di Israele».
Lui che cosa si aspettava?
«Si aspettava che Israele bombardasse, che l’aeronautica colpisse dall’altro, ma non credeva che l’esercito entrasse via terra. Per quanto sembrino uniti i capi di Hamas, in realtà si fanno la guerra continua e, nell’ultimo anno, Sinwar ha perso molto consenso all’interno dell’organizzazione».
Lei che lo conosce bene, mi dica: dietro l’immagine di leader spietato, che uomo è Yahya Sinwar?
«Un uomo estremamente crudele, privo di limiti, che ha trascorso molti anni nelle carceri israeliane per aver ucciso a sangue freddo cinque palestinesi sospettati di aver collaborato con il governo d’Israele. Attenzione: non ebrei, non israeliani, ma palestinesi proprio come lui. Per imporre la sua dittatura anche in prigione, Sinwar torturava gli altri prigionieri nei modi più atroci. Sinwar ha anche studiato Israele più di qualunque altro leader palestinese della storia. Per cogliere le debolezze dello Stato ebraico, ha studiato la religione ebraica, la storia ebraica, la cultura ebraica. Nessun nemico conosce Israele meglio di lui».
Quando vi siete sentiti l’ultima volta?
«Tre mesi fa. Mi ha cercato lui, mi ha fatto recapitare dei messaggi tramite un terzo».
Cosa voleva dirle?
«Che ha già perso tutto, pertanto non ha più nulla da perdere».
In altre parole? 
«Non ci teme». 
Non teme nemmeno la morte?
«Si dice che nelle ultime trattative Sinwar abbia chiesto di risparmiargli la vita. Io stento a crederci: non è da lui. Certo che teme la morte, ma non vorrebbe mai infangare la sua immagine di leader-martire».
Crede che lui sia ancora nascosto a Gaza?
«No, non ne sono affatto convinto. E non aggiungo altro».
E allora in chiusura, mi dica Signor Yaari, lei crede alla Total Victory di cui parla Netanyahu? Una vittoria schiacciante, assoluta, definitiva sui nemici?
«Certo che no, questa guerra non si concluderà con una vittoria. Ci saranno solo perdenti».
E lei come immagina la vittoria, anche parziale, d’Israele?
«Il giorno in cui tutti gli ostaggi riabbracceranno le loro famiglie e i cittadini del nord e del sud saranno tornati a vivere nelle loro case, forse potremo parlare di una vittoria parziale».